Economia

Intervista. «Banche cooperative ecco l’autoriforma»

Marco Girardo venerdì 2 ottobre 2015
Le banche cooperative hanno ricevuto quest’anno una spinta evolutiva senza precedenti, destinata a cambiare radicalmente il panorama del credito in Italia. Per le Popolari la scossa è partita da un decreto legge, che obbliga quelle più grandi a diventare Società per azioni abbandonando il voto capitario ("una testa, un voto"), l’assioma della geometria cooperativa. Le Bcc, invece, hanno ottenuto la possibilità di contribuire a scrivere, insieme alle autorità, la propria riforma. E con l’auto-riforma il futuro del Credito cooperativo: «Il testo è pronto – conferma Alessandro Azzi, presidente di Federcasse, l’associazione nazionale delle Banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali – e ci auguriamo che entri in Parlamento per essere discusso e diventare presto Legge».Poteva essere calendarizzato già a fine estate, a dire il vero. Ora il tempo stringe: l’autoriforma consente infatti alle Banche di Credito Cooperativo e alle Casse Rurali di assumere nuovi assetti per salvaguardare la banca mutualistica e la sua funzione. Un patrimonio del nostro Paese, come riconosciuto dallo stesso governatore di Banca d’Italia nelle ultime Considerazioni finali. Ignazio Visco ha chiesto alle Bcc di «perseguire forme di integrazione basate sull’appartenenza a gruppi bancari, affinché possano continuare a sostenere territori e comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue». Il progetto messo a punto dal Credito cooperativo risponde a questo invito: «Protegge anzitutto la biodiversità del sistema – spiega Azzi – alimentando l’autonomia responsabile di ogni singola banca, esaltandone la mutualità e la dimensione territoriale con una maggiore integrazione per rispondere a quanto chiede l’Europa, soprattutto in termini di capitale». Il cuore della riforma sta qui, e nei fatti verrà formalizzato da un patto di coesione che ogni singola Bcc firmerà con la Capogruppo, una Società per azioni controllata dalle stesse banche di credito cooperativo. Il nuovo assetto, continua il presidente di Federcasse, «è indispensabile per consentire al Credito cooperativo di continuare nella sua missione storica, una missione ultrasecolare (la storia delle Bcc inizia a Loreggia nel 1883, ndr) che affonda le sue radici nel pensiero economico della Chiesa, dalla Rerum novarum alla formulazione compiuta della Dottrina sociale, in cui si riconosce alla mutualità e alla cooperazione una funzione fondamentale all’interno del sistema economico in generale e del mondo bancario nello specifico».La Capogruppo sarà una società per azioni. Non si corre in ogni caso il rischio di snaturare la tradizione cooperativa?Ciò che cambia non è la missione e la natura delle Bcc, non corriamo il pericolo di vedere morire un modello di economia civile che è espressione profonda della nostra tradizione. Al contrario: la riforma è una grande opportunità per continuare nel processo di crescita della cooperazione bancaria, nel mutuato contesto normativo e regolatorio, con un’organizzazione differente. È quest’ultima che cambia, non certo la natura delle Bcc.In che modo si modificano gli assetti organizzativi?Il Credito cooperativo aderisce a un Gruppo bancario cooperativo in forma di Società per azioni. Le singole Bcc sono legate alla Capogruppo da un patto di coesione modulato con criteri di "meritevolezza". Le Bcc devono cioè rispondere a requisiti oggettivi e a regole scritte nel Patto stesso.Quali requisiti?Una sana e prudente gestione della banca, precisi coefficienti patrimoniali, una maggiore protezione del rischio, una buona governance. In questo modo si può premiare l’autonomia virtuosa delle singole Bcc. La "meritevolezza" è dunque solidità, efficienza, trasparenza. Anzi: tanto più una Bcc è virtuosa secondo i requisiti stabiliti, tanto più sarà autonoma nella sua attività caratteristica. Perderà al contrario questa autonomia nel caso in cui non rispettasse i vincoli del patto. Sarebbe dunque sottoposta, da un lato, a maggiore vigilanza e controllo da parte della Capogruppo, nell’interesse generale del Credito cooperativo e della stessa banca, dall’altro avrebbe la possibilità di essere sostenuta in caso di difficoltà.Dai regolatori europei e italiani, ma anche dalle indicazioni che sono arrivate dal governo, una delle richieste che è stata fatta alle Bcc è quella di avere una maggiore possibilità di accesso al mercato dei capitali in caso di necessità. La struttura cooperativa rappresentava in tal senso una limitazione?Sarà la Capogruppo, una società per azioni che ha dunque una possibilità di accesso maggiore e più efficace al mercato dei capitali, a intervenire laddove mancassero risorse. Anche in forma transitoria, qualora servisse. Con la nuova organizzazione, ciascuna Bcc risponde al contempo in modo più strutturato alle consorelle, chiamate a garantire ancora meglio di prima, insieme, la stabilità del Credito cooperativo. Ma per fare ciò è indispensabile che la Capogruppo (è un aspetto, di primaria importanza nella riforma, che agli inizi del percorso era tutt’altro che scontato, ndr) sia controllata dalle stesse Bcc. Che le banche cooperative, cioè, abbiano la maggioranza del capitale. Perché il patto di coesione deve essere stipulato dalle singole banche con un soggetto che ha le stesse finalità mutualistiche, evitando così pericoli di egemonizzazione esterna. La Capogruppo si può quindi ricapitalizzare con apporti esogeni fino al 49%, mentre i soggetti aderenti risulteranno più patrimonializzati in un aggregato non formale.La patrimonializzazione. Altro aspetto cruciale sul quale insistono i regolatori. Quella delle Bcc non era di per sé adeguata anche senza la l’auto-riforma?Oggi le Bcc nel loro insieme rappresentano una delle componenti più patrimonializzate del sistema bancario italiano. Ma quando parliamo di "sommatoria" parliamo di valore medio. Ci sono dunque dentro al sistema, che nel complesso è solido, anche delle criticità. E in un contesto regolatorio europeo in cui, anche per la crisi finanziaria globale degli ultimi anni, il patrimonio sembra diventato quasi un totem al quale sacrificare tutto, va evitato il rischio che capitali esterni accedano alle singole Bcc con il pericolo concreto, in tal caso sì, di snaturarle.Una sorta di gestione sussidiaria della solidità?Alle Bcc forti i nuovi capitali non servono, ce la fanno da sole. Sono quelle più deboli che vanno tutelate con l’aiuto non di investitori vari e indistinti, magari speculativi, ma di capitali che continuino a essere espressione del territorio. Questi capitali li mette quindi la Capogruppo. Li può chiedere al mercato, sempre e comunque in minoranza, mantenendo il controllo dell’azionariato.Quali potrebbero essere gli azionisti della Capogruppo?Capitali "non impazienti". Quelli che non perseguono cioè unicamente la massimizzazione del profitto – una Capogruppo del Credito cooperativo non sarà mai casa loro –, ma che condividono invece le logica di crescita nel medio-lungo periodo. La Capogruppo, certo, può e deve distribuire un dividendo, ma senza "stressarsi" per raggiungere tale obiettivo. Azionisti possono essere pertanto i soci delle stesse Bcc, che scelgono anzitutto di avere un rapporto mutualistico con la loro banca, espressione del territorio, per ottenere migliori condizioni e servizi. Potranno accompagnare questa legittima aspettativa con una giusta remunerazione e non con degli extra-profitti speculativi (essendoci per altro un limite al possesso azionario a 50mila euro, ndr). Il bacino è enorme: ci sono un milione e duecentomila soci del Credito cooperativo in Italia. Potenzialmente, poi, anche le Fondazioni bancarie sono capitali "non impazienti" che potrebbero avere un interesse a diversificare i loro investimenti.Guardando all’Europa, negli altri Paesi questo percorso è già stato fatto. Sommariamente, seguendo due diversi modelli: quello francese e olandese da un lato, quello tedesco dall’altro. A quale si ispira la vostra auto-riforma?Nel primo modello, anche per ragioni di storia economica, in Paesi come la Francia prevale l’attitudine all’accentramento, c’è un’integrazione molto forte fra territori e Capogruppo. In Germania esiste invece un’organizzazione decentrata, ci sono più di mille banche cooperative, anche prese singolarmente, con livelli di solidità maggiori rispetto a quelli pur non trascurabili del sistema di casa nostra. La riforma che proponiamo è dunque una "via italiana" alla cooperazione bancaria nel mutato contesto regolatorio e finanziario europeo. Un modello di integrazione equilibrata, nuovo nella forma e nel metodo, per mantenere l’autonomia della nostra originalità mutualistica, che ha dato prova di tenuta anche durante la crisi. Abbiamo avuto un dibattito molto intenso al nostro interno, un dibattito che ci sta considerata la portata del cambiamento, una rivoluzione epocale, probabilmente superiore a quella che c’è stata con il Testo unico bancario all’inizio degli anni Novanta. Allora si temeva lo stravolgimento dell’esperienza cooperativistica bancaria: così non è stato e, anzi, il sistema è cresciuto. Oggi possiamo impostare le basi per un’evoluzione anche maggiore, avendo fortunatamente lavorato a stretto contatto con le autorità competenti.Presidente, per quanto riguarda i tempi della riforma?Dal nostro punto di vista, avendo da tempo consegnato alle Autorità le proposte deliberate dai nostri organi, non vediamo ostacoli all’emanazione del provvedimento governativo. Noi ci auguriamo, anzi auspichiamo fortemente, che questo possa vedere la luce nelle prossime settimane, speriamo entro la metà di ottobre. Una volta emanato il decreto legge, sarà importante fare bene il passaggio parlamentare e attuarla prima possibile questa riforma.