Economia

L'analisi. Batterie, il nuovo oro nero e lo strapotere della Cina

Alberto Caprotti mercoledì 28 ottobre 2020

Il pianale batterie della Audi e-tron, una delle più sofisticate vetture elettriche sul mercato

L’auto elettrica – che pare l’unica (o almeno l’inevitabile) prospettiva di mobilità presente e futura – ma anche i computer, la telefonia cellulare, e in generale tutta l’economia mondiale, dipendono oggi dall’energia e dalla possibilità di immagazzinarla e renderla disponibile quando serve. Potenza, velocità, autonomia e durata di qualunque processo produttivo sono pesantemente condizionati quindi da come e quanto funziona la sua batteria, il vero nuovo petrolio del mondo.

Al tempo stesso, le batterie sono uno dei punti deboli di molte industrie ad alto tasso di tecnologia, perché il loro miglioramento non riesce a stare al passo con quello di altri componenti importanti. In teoria sarebbe possibile già adesso avere automobili con maggiore autonomia, o smartphone e computer portatili molto più veloci di quelli che abbiamo, ma nessuno li produce perché le batterie si scaricherebbero troppo presto. Lo sviluppo tecnologico dunque dipende dalla capacità di produrre batterie più efficienti, con enorme capienza e molto economiche, che purtroppo ancora non esistono.

La stragrande maggioranza delle batterie attualmente in commercio è agli ioni di litio – tecnologia sviluppata a partire dagli anni Settanta e che è stata messa in commercio dalla Sony a partire dal 1991 – e dipendono dalla presenza al loro interno dal cobalto, la cui estrazione è da tempo molto discussa sul piano etico. Il cobalto infatti proviene per il 64% della produzione mondiale dalle miniere del Congo, sotto accusa per lo sfruttamento del lavoro minorile. Questi metalli rari, inoltre, sono una delle ragioni per cui il prezzo delle batterie rimane così alto.

La ricerca oggi sta puntando sulla fabbricazione di batterie allo stato solido o senza litio, ma i filoni principali di sviluppo di tecnologie per l’immagazzinamento di energia continuano a cercare di rendere più efficienti e potenti le batterie che già esistono, non di trovare qualcosa di radicalmente nuovo. Anche per questo il potere commerciale di chi attualmente le produce è diventato economicamente devastante per tutti gli altri attori del mercato.

E qui la sudditanza europea è evidente già nei numeri. Secondo quelli dell’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) nel 2018, delle 7.000 nuove licenze legate allo stoccaggio dell’energia coperte da diritti, il 41% erano di società giapponesi e il 18% di aziende della Corea del Sud. L’Europa tutta insieme ne aveva presentate appena il 13%. Le cose cambiano (ma non per il nostro Continente) quando si passa dalla proprietà alla produzione: quella è dominata dalla Cina, che controlla anche tutta la filiera e le forniture che stanno attorno al mercato delle batterie. Secondo The Economist, la Cina produce il 69% delle batterie agli ioni di litio di tutto il mondo. Le stime di Benchmark Mineral Intelligence, una società di analisi britannica, dicono inoltre che anche l’80% dei materiali grezzi necessari per la costruzione delle batterie agli ioni di litio proviene da aziende cinesi. Così come sono di proprietà cinese tutte le 14 miniere di cobalto più grandi del Congo.

Non sorprende quindi che la Cina sia il più grande mercato per l’auto elettrica al mondo. Più di metà del totale delle vetture con la spina vendute ogni anno viene acquistato in Cina. E l’obbligo di comprare batterie costruite in quel Paese, imposto dal governo di Pechino cinque anni fa per tutte le vetture prodotte su proprio territorio, ha contribuito in maniera determinante a creare un monopolio nel settore più importante per il futuro dell’industria automobilistica. Se, come detto, al momento la Cina produce quasi il 70 per cento di tutte le batterie al mondo, il più grande produttore in assoluto è però un’azienda coreana, la LG Chem (che possiede diversi impianti in Cina), fornitore delle celle per batterie di Tesla e di moltissimi altri marchi mondiali. In altre parole, se un produttore di auto elettriche vuole sfruttare i generosi sussidi stanziati dal governo, deve ricorrere a una fabbrica cinese. Il risultato è che oggi tutti i principali costruttori di auto elettriche al mondo – Mercedes, Honda, Hyundai, Nissan, Toyota e Volkswagen – hanno un contratto con CATL, il più grande ed efficiente produttore di batterie cinesi.

Per opporsi a questa dittatura commerciale, la Commissione Europea ha lanciato la “European Battery Alliance”, un piano transnazionale che ha investito un miliardo di euro in una serie di impianti per iniziare la ricerca e lo sviluppo di nuove batterie costruite esclusivamente in Europa. Ma la preoccupazione internazionale sull’argomento è molto alta. Il sito di Voice of America, l’emittente ufficiale del governo degli Stati Uniti, di recente ha addirittura affermato che la fornitura globale di batterie così sbilanciata a favore della Cina «potrebbe presto diventare una questione di sicurezza nazionale per Washington».

Anche The Economist, nel suo articolo di copertina di qualche settimana fa, ha scritto che poco dopo aver raggiunto l’indipendenza energetica con l’estrazione del petrolio estratto dalle rocce, adesso gli Stati Uniti potrebbero trovarsi in difficoltà se non addirittura in una posizione di sudditanza, in un mondo che è sempre più dipendente dall’energia elettrica e dalle tecnologie necessarie per immagazzinarla.