Economia

APPRENDISTATO. L'impresa si fa scuola

Michele Tiraboschi mercoledì 29 settembre 2010
L'impresa che si fa scuola e la scuola che si fa in impresa. Nessun obbligo e nessuna rivoluzione per quanto riguarda i percorsi scolastici tradizionali. Solo una opportunità in più – sulla falsariga di quanto già avviene in Austria, Svizzera, Germania e, da noi, nella provincia di Bolzano – per i tanti ragazzi che abbandonano i percorsi di istruzione e formazione professionale o anche un liceo senza aver conseguito una qualifica o un titolo di studio. Con l’accordo firmato con i ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, la Regione Lombardia si candida come apripista nella sperimentazione di una delle previsioni più significative della legge Biagi e cioè l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, il cosiddetto apprendistato di "primo livello". L’intesa si propone di rendere effettivo, per tutti i giovani italiani, il principio costituzionale della formazione e della elevazione professionale dei lavoratori anche attraverso la valorizzazione di tutte le modalità formali, informali e non formali di apprendimento – compresi dunque i percorsi di formazione in azienda – e il recupero del valore educativo e formativo del lavoro e del lavoro manuale in particolare. Ciò sarà ora possibile, almeno in Lombardia, attraverso un apprendistato che individua nel lavoro un percorso educativo e formativo idoneo, per un verso, a imparare un mestiere qualificato sul piano tecnico-professionale e, per l’altro verso, a trasmettere ai giovani, su un piano educativo e culturale, le competenze chiave di cittadinanza. In termini più concreti, l’intesa consente di mettere a punto percorsi formativi in azienda finalizzati a consentire ai giovani il conseguimento del titolo triennale e a contrastare la dispersione scolastica, nonché talune forme ancora oggi radicate di sfruttamento della manodopera minorile con contratti irregolari se non proprio in nero. L’intesa tra la Regione Lombardia e i due Ministeri è immediatamente operativa anche se potrà – e certamente dovrà – essere perfezionata dalla contrattazione collettiva e dagli enti bilaterali di riferimento. Ciò al fine di adattare le linee guida contenute nella intesa, necessariamente di contenuto generale e di principio, alle caratteristiche delle singole aziende e dei settori merceologici coinvolti. I ministeri del Lavoro e della Istruzione e la Regione Lombardia si sono infatti riservati il non facile compito di regolamentare i profili formativi e quelle innovative modalità di apprendimento che, sviluppando adeguate modalità organizzative e didattiche, possano consentire l’obiettivo della effettiva integrazione tra il sistema educativo di istruzione e formazione e il mondo del lavoro. Viene così garantito al giovane e alla sua famiglia il diritto di scelta delle sedi e delle modalità dell’apprendimento. Ciò fermo restando, ovviamente, il diritto-dovere in capo all’attore pubblico di verificare gli esiti e la qualità dei percorsi formativi ed educativi aziendali.La peculiarità di questa forma di apprendistato, che non è un semplice contratto di lavoro, consiste infatti nel riconoscimento, al termine del percorso formativo, non solo della (eventuale) qualifica professionale ai fini contrattuali, ma anche e soprattutto di una qualifica professionale triennale del sistema educativo di istruzione e formazione (ecco spiegato il motivo del coinvolgimento del ministero dell’Istruzione).Si comprende così perché, a differenza dell’apprendistato professionalizzante o di secondo livello, che prevede 120 ore annuali di formazione, per l’apprendistato in questione si indica, come regola, un monte ore formativo assai più sostanzioso pari a 400 ore. È tuttavia importante sottolineare che le modalità di formazione potranno essere definite dalla contrattazione collettiva e potranno essere anche svolte integralmente in azienda, là dove ciò sia previsto nei singoli piani formativi individuali e sia ovviamente compatibile con la qualifica da conseguire. Sarà compito delle istituzioni pubbliche certificare la qualità e l’effettività dei percorsi formativi in modo da spostare l’attenzione sugli esiti piuttosto che sulle procedure o le modalità della formazione.I giovani e le loro famiglie diventano così protagonisti di questo modo nuovo di apprendere e "fare scuola". Al pari delle stesse aziende a cui viene ora concessa la possibilità di costruire "in casa" quelle figure professionali di difficile reperimento sul mercato del lavoro, e cioè doratori, restauratori, falegnami, valigiai, sarti e modellisti, cuochi, ecc. Una opportunità in più anche per le imprese, dunque. Ma anche una nuova responsabilità sociale. Quella di concorrere, anche attraverso l’impiego delle maestranze più "anziane" e dei maestri artigiani in qualità di tutori, a formare i nostri giovani all’etica del lavoro ed educarli alla vita stessa consentendo altresì di non disperdere quel prezioso patrimonio di esperienza, sapienza e professionalità che ancora oggi rappresenta la parte più sana e dinamica del nostro tessuto produttivo.