Economia

LE STORIE. Anche imprenditori in piazza: prima la famiglia

Mirco Cavallin martedì 9 ottobre 2012
​Se potessero parlare, le medievali arcate della Loggia dei Cavalieri di Treviso racconterebbero storie di nobili che qui sotto si svagavano tra giochi e conversazioni, di facchini che vi depositavano botti, legname e perfino casse da morto, di soldati e gente comune devastati dal bombardamento del 1944, di giovani e famiglie che scelgono questo luogo di riparo per sostare o semplicemente per incontrarsi.Oppure si farebbero cassa di risonanza per la storia del signor Renato (lo chiameremo così) negoziante come tanti del commercio al dettaglio nell’operoso e affaticato Nordest.C’era anche lui al corteo che ha attraversato le vie della città da Ponte San Martino, lungo Corso del Popolo, piazza dei Signori e Calmaggiore; ha voluto essere presente, e lui forse non batteva le mani e non gridava slogan, come hanno fatto gli altri, le commesse e i loro familiari in testa al corteo. Il signor Renato – perché bisogna essere signori nell’animo quando si ha il coraggio dire certi "no" – è arrivato alla tappa finale del corteo sotto quella Loggia, dove hanno parlato gli organizzatori della giornata, qualche marito costretto ad una "vedovanza bianca" dalle dure leggi del commercio, qualche commessa grata per il posto di lavoro che ha, ma stanca di non poter più essere madre, moglie, amica. Il signor Renato ha preso la parola per ultimo e con voce roca e rotta dall’emozione ha raccontato di aver voluto essere qui, chiudendo le serrande per questa domenica, rinunciando alla visibilità dello struscio festivo, concedendola quindi ai suoi colleghi-concorrenti, perdendo un po’ di fatturato. «Mi sono concesso questa giornata di libertà per stare con la mia famiglia. Dico no alle domeniche aperte senza limite».Ed ha abbattuto, laddove ci fosse, il divario tra titolari e commessi. Da quando è in vigore il decreto, il signor Renato deve tenere aperto 7 giorni su 7, senza riposi, a meno che non se li “conceda”; se quello di fronte alla strada tiene aperto, lo deve fare anche lui. E se poi la sua attività è in un centro commerciale, non c’è scampo: devi garantire l’apertura, altrimenti ti multano.«Non toglieteci la domenica!» lo hanno detto anche le imprenditrici di Terziario Donna Confcommercio. La presidente Valentina Cremona ha sottolineato che, in particolare nel micro commercio di città, i problemi di titolari e commesse spesso coincidono; tanto che i giorni di riposo festivo di una cassiera vengono coperti proprio dalla proprietaria, con la conseguenza che il negozio rimane aperto, incassa spesso pochino, e toglie anche al commerciante la possibilità di vivere le sue relazioni personali. «Guardiamo anche in questo all’Europa: in tanti Paesi gli orari dei negozi sono sì molto larghi, ma non sconfinano sul giorno festivo. Qui rischiamo di non avere effetti benefici per l’economia, ma soprattutto di perdere il valore essenziale del riposo e della festa. La conciliazione tra lavoro e famiglia è certamente un problema per noi donne, ma credo – ha detto ancora Cremona– che lo sia anche per i maschi e più in generale per la società. Spostare tutto il tempo sul lavoro è impossibile e controproducente».E intanto il signor Renato pensa alla prossima domenica senza la sua famiglia: sul calendario il 14 ottobre è ancora stampato in rosso, ma la tinta si sta sbiadendo verso il grigio e il nero degli altri 6 giorni, dove il cartello “chiuso” da mettere all’ingresso ormai è rivolto solo all’interno.