Economia

L'ANALISI. Se la politica è ancella di banche immorali

Giulio Albanese martedì 8 gennaio 2013
Di fronte all’umanità scomposta del nostro tempo, affetta da miserie, pandemie e altre disgrazie, s’impone, sempre più, il bisogno di una riforma del sistema economico finanziario. Le autorità che indagano sullo scandalo del Libor, venuto alla ribalta l’anno scorso, sospettano che una ventina di colossi bancari internazionali abbiano semplicemente fornito informazioni fittizie a proprio profitto. Ecco che allora Ubs ha patteggiato e pagato 1,5 miliardi di euro di multa, e prima di lei è toccato alla britannica Barclays, che ha saldato il conto con 450 milioni. Per quanto questi esborsi possano sembrare esosi, sono poca cosa a fronte degli enormi profitti incassati negli anni. Basti pensare che la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 35 miliardi di dollari di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari. Tutto questo ha, naturalmente, delle ripercussioni notevoli sulla crisi dei mercati che ha messo in ginocchio molti Paesi.Il problema di fondo è che l’avidità sfrenata, unita ad una buona dose di delirio di onnipotenza, da parte di questi soggetti finanziari, dimostrano l’assenza di alcuna morale, rispetto alle ripercussioni socio-politico-economiche delle loro azioni: dalle recessioni in atto in molti Paesi, alla distruzione di milioni di posti di lavoro, causando peraltro milioni e milioni di nuovi poveri per fame su scala planetaria. In particolare, è diffusa la sensazione che la politica, sia a livello di singoli Stati, come anche nelle sue espressioni comunitarie, continui ad essere ancella dei poteri economico-finanziari di cui sopra. Col risultato che, tra la gente, si manifesta una sorta di disaffezione nei confronti della "Res Publica".Molto dipenderà dalle decisioni che verranno prese, in sede internazionale, dai governi che sono stati tenuti, finora, sotto scacco dalle lobby dell’alta finanza. È per questa ragione che, forse mai come oggi, andrebbe riaffermata la sacralità dell’azione politica, nella consapevolezza che essa non è affatto un’utopia dai contorni indefiniti. Già 40 anni fa Paolo VI aveva definito la politica come «la forma più alta della carità». Ed è lo stesso Benedetto XVI ad affermare che «il cristiano è un uomo di speranza, anche e soprattutto di fronte al buio che spesso c’è nel mondo e che non dipende dal progetto di Dio ma dalle scelte sbagliate dell’uomo». Il punto è che, in questi anni, si è acuita la divaricazione tra il "modus operandi" delle classi dirigenti, asservite troppo spesso ai sacerdoti del dio denaro, e il "modus vivendi" della gente. Guardando pertanto al futuro, in una prospettiva davvero costruttiva, sono davvero illuminanti le parole di Zygmunt Bauman, secondo cui «essere morali significa sapere che le cose possono essere buone o cattive. Ma non significa sapere, né tanto meno sapere per certo, quali siano buone e quali cattive. [...] Essere morali significa non sentirsi mai abbastanza buoni». E questo vale anche per i banchieri.