Economia

Intervista. Il Ceo di MoneyFarm, dove l’età media è 28 anni

Pietro Saccò martedì 3 gennaio 2017

Giovanni Daprà è uno di quei giovani che ha lasciato l’Italia per scelta e per scelta è, in parte, tornato. Milanese, 32 anni, dopo una laurea triennale alla Bocconi è andato a Londra per specializzarsi in finanza alla Cass Business School e, dopo qualche anno in Deutsche Bank, assieme al socio Paolo Galvani ha creato MoneyFarm, società di consulenza finanziaria indipendente che, a prezzi ridotti, aiuta i risparmiatori a gestire al meglio i loro patrimoni. Lanciata nel 2011 con base a Cagliari e sede operativa a Milano, l’azienda è già una delle più grandi società europee per la gestione patrimoniale online e nel 2015 ha incassato 16 milioni di euro da due fondi di investimento britannici, Cabot Square Capital e United Ventures.

Creare una nuova società a Cagliari non è esattamente la prima idea che viene in mente a chi sta lavorando negli uffici londinesi di Deutsche Bank...
Siamo partiti da lì per scelta industriale. Cagliari è un polo tecnologico di livello, dove in particolare si possono trovare molti sviluppatori bravi. E dal momento che in città il mercato del lavoro già cinque anni fa era molto fiacco non abbiamo fatto fatica a trovare le persone giuste per lavorare sulla parte tecnologica del nostro servizio. Poi la disponibilità dei bandi europei per le Regioni depresse ci ha agevolati nell’investimento.

Come hai trovato i tuoi coetanei al tuo ritorno in Italia?
È stato sorprendente trovare tanti giovani molto in gamba per i quali essere responsabilizzati sul lavoro era un grosso passo avanti rispetto alle loro aspettative. Io tecnicamente non ho mai lavorato in Italia, sono tornato da imprenditore e tuttora mi muovo tra Londra e Milano. Così il modo di operare della mia società non è stato influenzato dalla legacy di un’azienda italiana. Insomma, nel rapporto di lavoro siamo una società all’inglese.

E questo cosa significa?
Che da subito responsabilizziamo chi lavora con noi. Assumiamo ragazzi usciti dall’università e dopo un paio di anni iniziano a gestire altre persone. Anche se siamo una società piccola e con risorse limitate diamo fin dall’inizio spazio per la crescita professionale di chi arriva, ci crediamo e ci puntiamo. Ci viene naturale. Abbiamo un’ottantina di persone, di cui trentacinque in Italia e le altre nella sede londinese aperta la scorsa primavera. L’età media è di 28 anni.

L’Italia ha quindi un problema di “responsabilizzazione” dei giovani?
Sì, è uno dei problemi. Io credo che l’altissimo livello di disoccupazione italiana sia il frutto di trent’anni di errori politici e abitudini sbagliate delle aziende. All’estero anche le piccole società sono più capaci di credere nei giovani, di trattarli da subito da adulti, in Italia anche i grandi gruppi non danno opportunità. C’è poi anche un problema di competenze però: ad esempio nello sviluppo software o nel data analysis noi facciamo fatica a trovare personale, in Italia il 99% dei ragazzi che ha queste competenze già lavora.

Da società che si occupa di risparmio e punta molto sull’innovazione in Italia avete trovato giovani più poveri di quanto vi sareste aspettati?
Sì, puntavamo su un certo tipo di profilo, con una buona disponibilità di risparmi, ma qui non lo abbiamo trovato. Soprattutto perché il reddito medio, in particolare nelle prime fasi della carriera, è molto basso. Abbiamo trovato invece diversi 50enni e 60enni interessati ai mercati finanziari e con una certa consuetudine con il digitale, è stata una sorpresa.