Economia

ANALISI. Alleanza contro povertà: le differenze tra progetti

Francesco Riccardi martedì 12 novembre 2013
Prima il "Reddito d’inserimento sociale" di Acli e Caritas; poi il "Sostegno per l’inclusione attiva" messo a punto dal ministero del Lavoro; infine il "Reddito di cittadinanza" presentato venerdì scorso dal Movimento 5 Stelle. Finalmente qualcosa si muove per contrastare la povertà in Italia. Se si eccettua la "Social card", ancora in fase di sperimentazione e dall’impatto limitato, infatti, il nostro Paese è l’unico in Europa, assieme alla Grecia, a non disporre di alcuno strumento di lotta alla povertà.Ma quali sono le analogie e le differenze fra i tre progetti? È possibile immaginare un’azione, se non congiunta, quantomeno convergente dei diversi soggetti? La "Grande Alleanza" varata ieri rappresenta una novità altamente positiva, se si considera che in passato il movimento sindacale ha sempre guardato con sospetto, quando non osteggiato apertamente, gli esperimenti sul reddito d’inclusione. E così pure non è da poco l’impegno a fianco a fianco di associazionismo cattolico e laico, Caritas ed enti locali. Se poi si prova a mettere a confronto la prima proposta elaborata da Acli e Caritas (il Reis, che dovrebbe essere il canovaccio di base del progetto della nuova Alleanza contro la povertà) e il Sia, messo a punto dagli esperti del ministero, la sovrapposizione è molto netta. Tanto il Reis quanto il Sia, infatti, prevedono di aiutare le famiglie che si trovano in povertà assoluta: 1,7 milioni di nuclei, pari a 4,8 milioni di persone. Lo strumento sarebbe da un lato un sostegno economico pari alla differenza tra il reddito familiare (comprovato dall’Isee) e la soglia Istat di povertà assoluta (che oggi varia tra 477 e 806 euro al mese per una persona a seconda delle aree del Paese). Tanto le soglie d’accesso quanto gli importi sarebbero variabili secondo il differente costo della vita in Italia. È prevista poi l’erogazione di servizi per l’impiego, contro il disagio psicologico e/o sociale, per esigenze di cura. Tutti i membri della famiglia tra 18 e 59 anni ritenuti abili al lavoro dovrebbero attivarsi per cercare un lavoro, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione, pena la riduzione o la sospensione del contributo economico. A gestire il Reis sarebbero Comuni, Terzo settore, servizi per formazione/impiego e altri soggetti in chiave sussidiaria, mentre nel caso del Sia il coinvolgimento del non profit è più sfumato.Differente l’approccio del progetto di "Reddito di cittadinanza" del Movimento 5 Stelle. Anzitutto, il nome è improprio perché il reddito di cittadinanza riguarda tutti i cittadini appunto, a prescindere da qualsiasi reddito e patrimonio, tanto che esiste solo in Alaska. Quello proposto è in realtà un reddito minimo mirato non ai "poveri assoluti" come il Reis e il Sia, ma ai ben più numerosi "poveri relativi": il 12,7% delle famiglie in Italia, pari a circa 9,5 milioni di persone. Per costoro, che secondo i parametri Istat hanno a disposizione meno di 594 euro (per un nucleo di un componente, 990 per due, ecc., media unica nazionale), il M5S prevede un’erogazione fino a 600 euro al mese. Anch’essa condizionata all’attivazione per la ricerca di un lavoro (tranne per le madri fino al 3° anno del bambino) e variabile in funzione del reddito posseduto, ma non in base al differente costo della vita tra città e piccoli borghi, Nord e Sud. Questo progetto (ancora da perfezionare con il contributo degli aderenti al Movimento) presenta poi alcune differenze rispetto agli altri due sia per gli interventi a fianco dell’aiuto monetario, sia sui soggetti preposti. Poco coinvolti i Comuni, per nulla il Terzo settore, quasi tutto è delegato ai Centri per l’impiego e all’Inps. La differenza maggiore tra Reis-Sia da un lato e Reddito di cittadinanza (RdC) dall’altra sta tuttavia, come detto, nella platea e dunque nel costo. Per il Reis si parla di 6 miliardi a regime, partendo con un primo nucleo di interventi del peso di 900 milioni. Il RdC costerebbe invece 19 miliardi di euro secondo il M5S (addirittura 30 per il viceministro Fassina) che dovrebbero essere reperiti subito, tramite un aumento delle imposte, una patrimoniale, il taglio di agevolazioni, sussidi e altre misure (alcune quantomeno discutibili). Il rischio è allora quello del paradosso del rivoluzionario: si punta talmente in alto da non ottenere nulla.«E invece questo è il momento per far nascere davvero un primo intervento per i più poveri, da estendere poi gradualmente a tutti i poveri assoluti – commenta Cristiano Gori, coordinatore dell’Alleanza –. Condividiamo l’obiettivo con il Movimento 5 Stelle e apprezziamo la loro attenzione al tema, ma abbiamo strumenti diversi».