Economia

Analisi. Adesso una strategia comune per riscrivere insieme la politica industriale del Paese

Diego Motta martedì 15 aprile 2014
Al di là delle scelte e dei nomi che sono stati fatti, quello su cui servirebbe chiarezza adesso è soprattutto il disegno di politica industriale. Enrico Mattei, che a metà del Novecento seppe dare sostanza al progetto di un Paese che aveva intercettato il boom economico e voleva crescere, aveva una visione (non sempre condivisa dai governi dell’epoca) che portò sviluppo e occupazione. La situazione oggi non è molto diversa da allora: l’Italia sta uscendo a fatica dalla crisi e ha bisogno di cinque, sei grandi gruppi pubblici (e privati) cui chiedere di sostenere questo salto di qualità. Le scelte sono maturate avendo avuto giustamente l’attenzione di garantire la parità tra uomini e donne, di valorizzare i percorsi manageriali interni, di indicare professionalità riconosciute anche all’estero per competenza e autorevolezza. Ora però occorre costruire una strategia comune in cui Palazzo Chigi e i ministeri del Tesoro e dello Sviluppo economico si sentano protagonisti di primo piano, non comprimari.Per ognuna delle società interessate dal cambio dei rispettivi vertici, c’è un piano industriale da confermare o da riscrivere. Eni rimane l’avamposto nazionale nel mercato energetico, al centro di una complessa partita geopolitica che vede da una parte il gigante russo Gazprom e dall’altra le major americane che si muovono sugli stessi scacchieri euroasiatici. Enel sta affrontando l’imponente sfida della riduzione del debito, mentre Poste è attesa dalla prossima privatizzazione. Finmeccanica infine dovrà completare la cessione delle società partecipate.In gioco ci sono interessi e posti di lavoro. Non solo: dalle prime mosse dei nuovi presidenti e dei nuovi amministratori delegati scelti dal Tesoro, si capirà quali sono i settori che il governo ritiene davvero strategici per il futuro della nostra economia. Tutti sono d’accordo sulla centralità del manifatturiero, ma bisognerà capire ad esempio se il futuro sarà un ritorno alle produzioni "pesanti" o se nella visione dei nuovi vertici il nostro Paese potrà funzionare anche come snodo strategico per l’Europa dell’energia e della logistica, vista anche la felice posizione geografica. Finora sono arrivati solo segnali sporadici della metamorfosi in atto. Eppure sapere quale sarà la vocazione industriale dell’Italia da qui a dieci anni, interessa non solo noi, ma anche diversi gruppi stranieri pronti a investire sul nostro territorio.