Chiesa

La testimonianza . «Vi racconto il mio Luciani»

Beniamino Stella* venerdì 26 agosto 2016
Sul finire degli Anni Cinquanta ho conosciuto da vicino quello che fu il mio vescovo diocesano, Albino Luciani. Erano gli anni del mio liceo e la mia conoscenza di monsignor Luciani fu allora quella di un giovane liceale che incontrava il vescovo per le celebrazioni in Seminario e in Cattedrale. Ricordo come sapeva comunicare e trasmettere con efficacia la dottrina ai seminaristi e sempre con esempi tratti dalla vita quotidiana, ma colto e ben formato negli studi classici e accademici. Lasciai poi la diocesi di Vittorio Veneto per Roma nel 1960 per i successivi sei anni e gli incontri con lui furono occasionali ma, quando mi riceveva nel castello vescovile di Vittorio Veneto, era sempre con affetto paterno e semplicità. Mi sentivo bene con lui per il tratto umano, fatto di cordialità e di calore, che dimostrava nelle conversazioni personali.  Entrai poi nella Pontificia Accademia Ecclesiastica a Roma e, del resto, fu lui ad avviarmi agli studi diplomatici. Ricordo come fosse ieri quando e come lo chiese. Era durante l’ultima sessione del Concilio ecumenico Vaticano II: mi chiamò, presso il Pontificio Seminario Romano minore dove alloggiava, per dirmi che mi avevano chiesto per entrare in questa Accademia e che egli aveva già risposto di sì. Così, secondo il modus procedendi di quei tempi ormai passati, si rivolse senza tanti preamboli a me: 'Lei è d’accordo, non è vero?'. In seguito lo incontravo durante le vacanze estive per un saluto e per metterlo al corrente della mia vita di sacerdote e dei miei studi. Lo rividi poi una volta, all’inizio degli Anni Settanta, quando andai a visitarlo a Venezia. Purtroppo non ebbi occasione di incontrarlo da Papa nell’agosto- settembre del 1978, trovandomi come incaricato d’affari della nunziatura a Malta.  Per me Luciani è sempre stato il 'mio vescovo'. Un uomo di preghiera assidua e profonda, di attento ascolto e capace di sostegno umano e spirituale nei confronti dei fratelli sacerdoti e del popolo di Dio, in particolare vicino ai poveri, alla gente umile e agli ammalati. Dotto maestro della fede e avvincente comunicatore della Parola di Dio, catechista impareggiabile. Queste le caratteristiche che considero esemplari in lui. Mia madre spesso citava monsignor Luciani, per dire che il sacerdote non doveva avere conti in banca e libretto di assegni. Penso che lo avesse sentito da lui stesso nelle periodiche visite ed incontri dei genitori in Seminario. Partecipava agli incontri dei suoi preti vittoriesi per prendere il polso della vita diocesana e del loro ministero.  Conosceva personalmente i suoi sacerdoti, li visitava nelle canoniche nell’ora della malattia e della vecchiaia, li riceveva nel castello vescovile durante mattinate intere, paziente e suadente. I preti li voleva preparati e formati. Il Concilio aveva fortemente alzato l’asticella delle attese e delle esigenze del popolo cristiano e si erano moltiplicati gli ambiti di attenzione e di cura pastorale.  Aprendo la diocesi al servizio missionario, qualche viaggio in terre lontane lo fece sì, in Africa e in America latina, soprattutto per visitare i suoi preti vittoriesi, mandati in missione nel Burundi e in Brasile, o tra le comunità italiane emigrate oltralpe. Era pastore che cercava di convincere con pazienza il suo interlocutore, seppure non incapace di decisioni impegnative, che gli costavano sofferenza, soprattutto nelle due dolorose crisi della diocesi di Vittorio Veneto, quella economica, con il disastro che ne causò la bancarotta finanziaria, dovuta alla mala amministrazione dell’economato diocesano, e quella del penoso conflitto con la comunità di Montaner. I malesseri del post-Concilio li visse soprattutto a Venezia; gli impegni episcopali si erano allora già ampliati e moltiplicati, tanto per la rappresentanza personale che gli comportava l’investitura cardinalizia come patriarca di Venezia, come anche per la responsabilità istituzionale della vicepresidenza della Conferenza episcopale italiana. Ma fu e volle essere sempre un prete e un vescovo fedele alle sue radici, in mezzo al suo popolo e ai suoi sacerdoti. Talvolta ho detto a papa Francesco che a monsignor Luciani - forse proprio come a lui arcivescovo di Buenos Aires - in Roma bruciavano sotto i piedi i 'sanpietrini' di Piazza San Pietro... Appena assolti i suoi impegni istituzionali in Curia e alla Cei ben volentieri ritornava in fretta a casa, a servire da pastore buono che fu, la sua gente. Credo nella santità di vita cristiana di Giovanni Paolo I, quella che si vive nell’umiltà e nella dedizione quotidiana alla Chiesa e al prossimo in necessità, ispirate dalle virtù teologali e praticate con fervore interiore.  *cardinale e postulatore della causa di canonizzazione