Chiesa

Sicilia. Il vescovo Raspanti: «Va combattuto il clima di sfiducia»

Giacomo Gambassi venerdì 10 giugno 2022

Il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale siciliana

«Quando papa Francesco ha descritto il clima di sfiducia nell’isola verso le istituzioni, ha toccato un tasto dolente che tutti noi avvertiamo in maniera chiara». Il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale siciliana, sa fin troppo bene qual è il “sentire” della sua gente. Gente che si prepara alle elezioni amministrative. «C’è bisogno di riavvicinare la “cosa pubblica” ai cittadini – dice mentre lascia la Città del Vaticano –. E cito solo qualche caso che può contribuire a screditare le istituzioni: gli iter burocratici infiniti con finanziamenti bloccati o mal spesi; le infrastrutture che non vanno: dalle strade al sistema ferroviario, di fatto inesistente; i lavori pubblici senza fine che si portano dietro costi sempre più elevati. Ecco, tutto ciò interroga la gente. E crea diffidenza che si traduce anche in una bassa partecipazione al voto». La Sicilia è stata al centro delle parole del Pontefice nell’udienza ai vescovi e ai sacerdoti della regione. Una riflessione dove gli elementi sociali si sono intrecciati con quelli ecclesiali. «Ci ha profondamente colpito l’elogio fatto dal Papa ai tanti preti che silenziosamente compiono il loro dovere nei nostri territori – commenta Raspanti –. A braccio, ha raccontato alcuni bei gesti di sacerdoti che sono arrivati alle sue orecchie: dall’attenzione ai bambini alla cura degli anziani. E ha voluto manifestarci la sua concreta e paterna vicinanza salutandoci ad uno ad uno al termine dell’incontro, benché fosse sulla sedia a rotelle. Ed eravamo trecento nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico...».

Eccellenza, Francesco ha celebrato virtù e bellezze della regione ma ha anche condannato trascuratezze e «crudeli efferatezze».
Siamo una terra di contraddizioni. Accanto al bello o ad esempi di coraggio e di lotta per la giustizia e l’onestà, si registrano situazioni di violenza gratuita o di scempio sia nelle relazioni, sia nella vita pubblica, sia nel paesaggio. Questo deve spronare la Chiesa a fare del Vangelo un volano di promozione umana e sociale.

Calo delle nascite ed emigrazione dei giovani: due piaghe che il Pontefice ha portato alla luce.
Vale per diverse zone dell’Italia ma in Sicilia sono ancora più evidenti. In molti paesi soprattutto dell’entroterra, i giovani non ci sono quasi più: vuoi perché non nascono; vuoi perché se ne vanno a studiare o a lavorare fuori. È un fenomeno diffuso e, ahimè, terribile che produce frammentazione e rischia di portare al “deserto”.

Compito dei pastori è abbracciare la vita del popolo, ha detto il Papa.
Se anche noi vescovi e sacerdoti ci lasciassimo travolgere dal pessimismo dilagante, avremmo tradito la nostra missione. Quanto più un tempo è complesso, tanto più siamo tenuti a condividere le sorti delle nostre comunità e poi a trasfigurarle. Dobbiamo immolarci, magari fino alle estreme conseguenze come hanno fatto alcuni preti o uomini dello Stato. E il Papa ne ha citati due, oggi beati: don Pino Puglisi e il giudice Rosario Livatino.

La pietà popolare è uno dei caratteri dell’isola. Ma va educata, ha affermato il Pontefice.
Richiamando Paolo VI e poi la sua Evangelii gaudium, Francesco ci ha ricordato che essa è un tesoro; però va innestata nella visione scaturita dal Concilio. Se ci fermiamo a tradizioni bloccate e stantie, scivoliamo nel folclore. La pietà popolare deve, invece, essere lievito per la fede.

Francesco ha denunciato la presenza di sacerdoti «immorali», che seguono «la strada di ingiustizia e disonestà».
Riflettendo sui giovani che possono distaccarsi dalle parrocchie, il Papa ha detto che lo addolorava il fatto di sapere di qualche caso di prete non trasparente. Non ha fatto una generalizzazione. E ci ha invitato a tenere alta la guardia. Si tratta di vicende da purificare e di rami da tagliare.

Poi il riferimento ai preti con «i merletti».
Tutti abbiamo sorriso quando lo ha detto. L’espressione era contenuta in un passaggio sull’accoglienza del Vaticano II nella liturgia. Penso che il Papa avesse in mente qualche frangia di clero, presente in Sicilia ma anche altrove, che indugia sulle suppellettili liturgiche. E giustamente ha voluto stigmatizzare tali esagerazioni.