Chiesa

I CONTENUTI. Tutti uniti da un'unica vocazione all'amore

Matteo Liut sabato 6 luglio 2013
Potrebbe essere «amare» il verbo che unifica e armonizza i quattro capitoli della «Lumen fidei», la prima lettera enciclica di papa Francesco dedicata alla fede. Secondo Bergoglio, infatti, «la fede cristiana è fede nell’Amore pieno, nel suo potere efficace, nella sua capacità di trasformare il mondo e di illuminare il tempo». Chi crede, infatti, scopre l’unica grande «vocazione all’amore» e «coglie nell’amore di Dio manifestato in Gesù il fondamento su cui poggia la realtà». A questa dinamica d’amore il Papa dedica i 60 paragrafi dell’enciclica, che, come viene spiegato nell’introduzione (nn. 1-7), si colloca nell’ambito dell’Anno della fede, sul cui sfondo c’è l’anniversario del Concilio Vaticano II, «un Concilio sulla fede». Il documento, annota Bergoglio, si aggiunge anche a quanto scritto da Benedetto XVI nelle sue encicliche sulle altre due virtù teologali, carità e speranza: «Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede – sottolinea poi Francesco –. Gliene sono profondamente grato e assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni preziosi contributi». Ad aprire il testo è un appello a riscoprire la fede come luce che illumina «tutta l’esistenza dell’uomo» e orienta «il nostro cammino nel tempo», tenendo insieme passato e futuro, poiché è «luce di una memoria fondante» che «schiude davanti a noi orizzonti grandi». Nel primo capitolo, dal titolo «Abbiamo creduto all’amore» (nn. 8-22), l’enciclica propone un percorso biblico, partendo dalla figura di Abramo, al quale viene rivolta una Parola portatrice di «una chiamata» e di «una promessa»: quel Dio «che chiede ad Abramo di affidarsi totalmente a lui» non è un estraneo ma «si rivela come la fonte da cui proviene la vita». Nella storia di Israele, poi, «la luce di Dio brilla attraverso la memoria dei fatti operati dal Signore». Ma «la pienezza della fede cristiana» resta di certo Cristo, che è «il "sì" definitivo a tutte le promesse» perché la sua morte «svela l’affidabilità totale dell’amore di Dio» alla luce della Risurrezione. In quest’ottica di amore «la fede nel Figlio di Dio non ci separa dalla realtà, ma ci permette di cogliere il suo significato più profondo». Il secondo capitolo, dal titolo «Se non crederete, non comprenderete» (nn. 23-36), è dedicato tutto al rapporto tra fede e conoscenza. «La fede senza verità – scrive il Papa – non salva, non rende sicuri i nostri passi. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità». Nel contesto attuale si assiste a una «crisi di verità», radicata soprattutto all’eredità negativa dei totalitarismi e alla paura dei fanatismi. In realtà, però, la fede permette di conoscere e «per il fatto di nascere dall’amore di Dio» «può illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità», in un modo che non è mai «intransigente» ma «rispetta l’altro». Così, gettando luce anche sulla «materia» e confidando nel suo ordine, la fede spinge la scienza e gli scienziati «a rimanere aperti alla realtà». Il capitolo si sofferma anche sulla «ricerca di Dio» e sul rapporto tra fede e teologia. Il terzo capitolo «Vi trasmetto quello che ho ricevuto» (nn. 37-49) ricorda che «è impossibile credere da soli» poiché «la fede non è solo un’opzione individuale che avviene nell’interiorità del credente». Essa, infatti, «si apre per sua natura al "noi"». Chi crede, insomma, «non è mai solo» perché inserito in «una memoria più grande» che è trasmessa dalla Chiesa. I mezzi, riflette il Papa, sono quelli che permettono un «contatto vivo con la memoria fondante»: i Sacramenti, la preghiera e il Decalogo, che «non è un insieme di precetti negativi, ma indicazioni concrete per uscire dal deserto dell’io autoreferenziale». Il capitolo si conclude con una riflessione sull’unità della Chiesa. Il quarto capitolo (nn. 50-57), «Dio prepara per loro una città», è dedicato agli aspetti più «operativi» della fede, che è anche motore per il bene comune e luce per tutti i rapporti sociali: «Le mani della fede si alzano verso il cielo – scrive il Papa – ma lo fanno mentre edificano, nella carità, una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento». E il primo ambito a ricevere luce è la famiglia: «Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio – scrive il Papa –. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita». Promettere un amore che sia per sempre, come avviene nel matrimonio, «è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti». La fede, insomma, «ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata. La fede poi aiuta a cogliere in tutta la sua profondità e ricchezza la generazione dei figli, perché fa riconoscere in essa l’amore creatore che ci dona e ci affida il mistero di una nuova persona». Nell’impegno sociale, infine, la fede, riconducendo tutto all’amore di Dio che si prende cura di ogni uomo, permette di cogliere il senso più autentico della fraternità, spinge al rispetto della natura, aiuta nella creazioni di modelli di sviluppo più umani, sostiene la creazione di governi che siano servizio al bene comune. Tutto questo perché «la fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita».​​