Chiesa

Charles Vella. «Teologia di popolo per salvare la famiglia»

Luciano Moia mercoledì 22 ottobre 2014
Malta, fine anni Quaranta, un seminarista poco più che ventenne raccoglie le preoccupazioni di alcuni coetanei che si avviano al matrimonio. Comprende che quei ragazzi ignorano quasi tutto del sacramento di cui a breve saranno rivestiti e pensa che sarebbe giusto offrire loro l’opportunità di approfondire il senso di una scelta che cambierà profondamente le loro vite. «Perché non prevedere per loro un cammino di preparazione simile a quello che stavo facendo io per diventare prete?». L’impegno nella pastorale coniugale e familiare di Charles Vella nasce da questa domanda. Con un’intuizione che, nonostante le opposizioni dei sacerdoti più anziani («Ma stai facendo una cosa inutile... »), trova l’appoggio dell’arcivescovo di Malta e poi si sviluppa negli anni successivi. La svolta autentica a metà degli anni Cinquanta, quando – dopo gli studi alla Gregoriana e al Collegio inglese di Roma – il giovane sacerdote va ad approfondire i temi familiari al 'Family Institute' di Chicago, negli Usa. È in quegli anni (’55-’56) che don Charles si convince dell’importanza di integrare i fondamenti teologici connessi al sacramento del matrimonio con le scienze umane che si occupano di relazioni di coppia. I suoi studi sul counselling gli permettono di chiarire una serie di aspetti nelle dinamiche del rapporto coniugale che, solo anni dopo, diventeranno patrimonio comune della prassi pastorale. Una consapevolezza da cui nasce quel Movimento Cana, dedicato allo studio della spiritualità familiare e coniugale, che è uno dei primi esempi a livello mondiale di associazionismo dedicato al benessere delle coppie. Oggi, dall’alto dei suoi oltre 60 anni di esperienza nella pastorale familiare, monsignor Vella – che è stato anche il primo direttore del Cisf, il Centro internazionale studi famiglia della San Paolo – guarda ai risultati del Sinodo con un atteggiamento di soddisfazione e di speranza. La prima nasce dal fatto di aver visto quasi duecento tra vescovi e cardinale ragionare insieme sui temi che da decenni sono anche il suo pane quotidiano. La seconda è riposta nel cammino che da qui al 2015 arricchirà di nuovi contributi la riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. «Era importante che la Chiesa facesse un passo decisivo per avvicinare le famiglie ferite alle luce delle trasformazioni avvenute nella società. Giusto aver ribadito che non cambia la dottrina ma l’approccio pastorale». Monsignor Vella, a lungo anche assistente ecclesiastico della Confederazione internazionale dei movimenti familiari cristiani (Iccfm), ritiene però che per accompagnare queste coppie, secondo le indicazioni emerse dal Sinodo, preghiera e spiritualità non siano sufficienti. «Serve un mix tra spiritualità e psicologia, un approccio globale alla persona che aiuti la riflessione e, tra gli altri effetti positivi, faccia apparire come queste persone siano anche risorsa. La Chiesa accompagna i divorziati risposati, ma anche loro, con l’esperienza di sofferenza, con il dolore sopportato e vissuto che deve toccare tutti da vicino, accompagnano la Chiesa». Un rovesciamento di prospettive che apre la strada a nuove proposte anche in merito alle modalità per riaccogliere i divorziati risposati. «Giustamente il Sinodo ha affermato che 'la questione va ancora approfondita'. I cammini penitenziali che sono stati proposti, quelli in particolare sul modello ortodosso, non possono esaurire le possibilità d’accoglienza. Così come non saranno sufficienti – prosegue monsignor Vella – le modifiche canonistiche a proposito dei processi di nullità. La Chiesa deve trovare altre strade, più efficaci ma anche più umane, per mostrare il suo volto materno». Senza dimenticare che il problema della riammissione ai sacramenti riguarda una percentuale davvero limitata di divorziati risposati. Quindi, accanto al problema teologico, s’allarga un’emergenza che è soprattutto sociale e culturale. «Chiediamoci allo stesso tempo – prosegue l’esperto – come avvicinare il 90 per cento di battezzati feriti che, dopo il fallimento del proprio progetto d’amore, non si ritengono più interpretati dalla Chiesa. Perché è capitato questo? Dobbiamo trovare strade nuove per evangelizzare la famiglia del nostro tempo». Monsignor Vella ritiene che anche il linguaggio debba cambiare. «In troppe occasioni abbiamo ancora toni di condanna e di durezza che contrastano con il volto della misericordia e dell’accoglienza indicatoci da papa Francesco». Quale potrebbe essere allora la strategia vincente? «Ascoltiamo di più le coppie ferite, colmiamo il loro vuoto. Solo la teologia del popolo –conclude Charles Vella – ci permetterà di salvare la famiglia e di assegnarle finalmente quella centralità nella Chiesa prevista dal disegno di Dio».