Chiesa

Il libro. Il cardinale Corti, un pastore discreto e maestro spirituale

Bruno Forte mercoledì 12 maggio 2021

Il cardinale Renato Corti

Oggi pomeriggio, alle 18.30, nella Cattedrale di Novara si terrà una Messa solenne in suffragio del cardinale e vescovo emerito della diocesi piemontese Renato Corti, scomparso il 12 maggio del 2020 dopo una lunga malattia. A presiedere il rito sarà il successore diretto di Corti l’attuale vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla. La celebrazione avverrà proprio nella Chiesa madre della diocesi piemontese da lui guidata dal 1990 al 2011 dove il presule è stato sepolto. ​

Proprio in questi giorni è uscito il volume Il cuore parla al cuore. Trenta voci per il cardinale Renato Corti (Edizioni Rosminiane, pagine (pagine 164, euro 10) curato da Roberto Cutaia e Matteo Albergante. Il saggio custodisce al suo interno i contributi di tanti uomini che conobbero da vicino il cardinale Corti: da Angelo Scola a Gianfranco Ravasi, da Camillo Ruini a Bruno Forte. Il volume si apre con la presentazione scritta dal vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, e si chiude con la post-fazione dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Tra le voci presenti anche quelle delle monache benedettine dello Isola di San Giulio sul lago d’Orta e quelle dei religiosi rosminiani che riconobbero nel vescovo Corti un autentico seguace del beato Antonio Rosmini.

Qui di seguito proponiamo il ritratto del cardinale Renato Corti, scritto per questo volume dall’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte.

Un vero dono ricevuto da Dio nella mia vita è stata l’ami cizia del cardinale Carlo Maria Martini, espressa particolarmente nella fiducia che mi accordava chiedendomi di collaborare con lui alla stesura delle sue lettere pastorali per la Chiesa di Milano a partire dagli inizi degli anni ’80. Tutto cominciò con un biglietto nel quale mi scriveva che il suo vicario generale, monsignor Renato Corti, gli aveva suggerito di leggere il mio libro Gesù di Nazaret, storia di Dio, Dio della storia. Saggio di una cristologia come storia, che gli era particolarmente piaciuto. Mi diceva di conseguenza che avrebbe avuto piacere di incontrarmi una volta a Milano o a Roma. Nacque così non solo l’appuntamento annuale di una settimana vissuta insieme a Napoli o in diocesi di Milano per redigere la prima bozza delle lettere pastorali, ma anche e soprattutto un’amicizia e un dialogo di grande profondità, sui temi più vari, dalla Sacra Scrittura alla teologia, dalla filosofia all’attualità, dal dialogo col pensiero “laico” alle riflessioni pastorali, fino a quelle più propriamente socio-politiche.
In qualcuna delle visite a Milano ebbi così modo di cono scere monsignor Corti, di cui il cardinale mi parlava in termini di grande stima, gratitudine e amicizia: giunse a dirmi che la governabilità della Chiesa milanese gli risultava possibile proprio grazie all’aiuto di Corti, che avendo lavorato come educato re e docente nei seminari ambrosiani conosceva i sacerdoti e sapeva valorizzare ognuno per le sue capacità e possibilità.

Col tempo la conoscenza e la cordialità fra me e monsignor Corti – frattanto divenuto vescovo ausiliare – crebbero, approfondendosi e sviluppandosi specie in rapporto alle richieste che il cardinal Martini faceva a volte a entrambi: ebbi così modo di coglierne e apprezzarne lo stile del prezioso servizio da lui reso all’arcivescovo, fatto di discrezione, assoluta lealtà, competenza umana, spirituale e pastorale, e conoscenza delle persone e delle situazioni.

Sono questi, peraltro, i quattro tratti che vorrei ricordare di lui. Colpiva, anzitutto, la sua discrezione: Corti era molto riservato, e prendeva la parola solo se interrogato o mosso da un’urgenza effettiva. Uomo di poche parole, andava subito al sodo dei problemi da affrontare e forniva al cardinal Martini tutti gli elementi utili in suo possesso perché l’arcivescovo potesse farsi un’idea precisa della questione e prendere quindi la sua decisione. Mai invadente, mai affrettato, sempre pronto ad ascoltare con umiltà e docilità quanto l’arcivescovo aveva da dirgli.

Questo tratto di discrezione caratterizzava peraltro Corti in tutti i suoi rapporti: non dubito che chi lo ha avuto educatore in seminario o padre spirituale abbia potuto apprezzare il tratto di squisita capacità di ascolto e di rispetto per tutti, che ne motivava la discrezione.

L’assoluta lealtà era un’altra caratteristica del vescovo Corti: più volte il cardinale Martini mi confidava della fiducia assoluta che aveva in lui e della certezza che quanto gli veniva detto da lui fosse frutto di totale sincerità, di informazione accurata e di saggezza umana e pastorale. Era perfino edificante assistere a qualche colloquio fra i due, dono che a volte mi è stato fatto: sembrava quasi che la stima e il rispetto reciproci fossero tali che essi facessero a gara nel mettersi in ascolto l’uno dell’altro, fermo restando che Corti si poneva sempre a un livello più basso, perché l’eventuale decisione da prendere fosse in tutto nelle mani, nella mente e nel cuore dell’arcivescovo.

In particolare, mi colpiva il sorriso luminoso con cui Corti sapeva accogliere le parole del Pastore e la prontezza con cui si rendeva disponibile a mettere in atto quanto deciso da lui.
Da questi scambi e da qualche confidenza del cardinale Martini mi risultava chiaro quanto grande fosse la competenza umana, spirituale e pastorale che monsignor Corti aveva accumulato con lo studio e l’esperienza vissuta nel servizio umile e innamorato al Signore e alla Sua Chiesa.

Tutto però si basava su una virtù non comune e preziosa specialmente per chi ha responsabilità di governo: la conoscenza delle persone e delle situazioni. Tutte le volte che Corti si esprimeva su situazioni e vicende umane, sociali ed ecclesiali, e in particolare quando si trattava di persone, si capiva che l’estrema riservatezza con cui lo faceva era pari alla serietà con cui si era documentato sulla questione, e che dunque mai un suo parere era affrettato o per semplice sentito dire. Si trattava insomma di un collaboratore assoluta- mente affidabile.

Divenuto vescovo diocesano a Novara a fine 1990, successore dell’amatissimo monsignor Aldo Del Monte, fece l’ingresso in diocesi nel marzo del 1991 e vi restò fino al 2011, quando papa Benedetto ne accolse le dimissioni per limiti di età.

In quegli anni ebbi minori occasioni di incontrarlo, ma il fatto che uno dei suoi sacerdoti fosse stato mandato a fare il dottorato in teologia con me alla Facoltà Teologica di Napoli mi consentì di avere frequenti sue notizie, che erano sempre cariche di ammirazione e di gratitudine per quel Pastore buono, generoso, sollecito per tutti, che Corti era fra i suoi.

Stimato e ammirato dai confratelli vescovi, fu eletto vice-presidente della Conferenza Episcopale Italiana, fu vice presidente della Conferenza Episcopale Piemontese, membro della commissione mista Vescovi-Religiosi-Istituti secolari, membro della Congregazione per le Chiese Orientali e di quella per l’Evangelizzazione dei Popoli.

Dopo l’ingresso del successore, Franco Giulio Brambilla, che Corti ben conosceva e apprezzava quale presbitero milanese e fine teologo, si ritirò presso il collegio degli Oblati dei santi Ambrogio e Carlo a Rho, ambiente di ricca spiritualità, che egli da sacerdote ambrosiano aveva imparato ad apprezzare e amare.
Anche in questa scelta di farsi da parte uscendo dal territorio della diocesi, di cui era stato pastore tanto amato, mostra la sua grande discrezione e al tempo stesso la saggezza pastorale con cui affermava che il nuovo vescovo non doveva in alcun modo essere condizionato nelle sue scelte e che questo poteva succedere, al di là delle migliori buone intenzioni, se il predecessore fosse rimasto in diocesi.

Seguirono anni di silenzio e di preghiera, durante i quali il vescovo Corti non si risparmiò nel dare corsi di Esercizi spirituali e offrire occasioni formative a chi gliene facesse richiesta. Nel 2015 papa Francesco lo invitò a preparare le meditazioni per la Via Crucis che lo stesso Papa avrebbe presieduto al Colosseo la sera del Venerdì Santo, ed egli seppe trasfondervi la sua intensa esperienza spirituale e pastorale.
In segno di riconoscenza per il gran bene fatto alla Chiesa e per la straordinaria testimonianza di fede e sapienza spirituale, nel concistoro del 19 novembre 2016 papa Francesco lo creò cardinale presbitero di San Giovanni a Porta Latina. Certamente, anche in questa veste Corti ha saputo essere sollecito del bene della Chiesa e della famiglia umana, offrendo con la solita discrezione, con umiltà e ricchezza di esperienza pastorale e umana, i contributi che gli saranno stati richiesti.

In quell’occasione gli avevo scritto: «È con gioia che ho appreso della sua elevazione al Cardinalato. La sua maggiore vicinanza al Successore di Pietro, significata dal rosso porpora che evoca il sangue effuso per amore di Cristo e della Chiesa sull’esempio dei santi Apostoli Pietro e Paolo, le consentirà ancora di più di mettere al servizio di tutta la comunità ecclesiale i tanti doni che Dio le ha fatto. Sia certo della mia vicinanza nella preghiera e preghi anche lei per me e il popolo che Dio mi ha affidato. Con sincera stima e cordiale amicizia nel Signore Gesù, uniti nel comune ricordo orante del cardinale Carlo Maria Martini».
La sua risposta mi fa confidare di averlo ora come intercessore in cielo per me e la Chiesa che sono stato chiamato a presiedere. Sarà in compagnia della Vergine Maria, da lui tanto venerata, e dei santi, non solo quelli della Chiesa milanese e novarese, specialmente sant’Ambrogio e san Gaudenzio, ma anche l’amato Antonio Rosmini, per il cui pensiero nutriva un profondo interesse, valorizzandone i contenuti nella sua azione pastorale, e per la cui beatificazione si è speso con impegno e generosità, tanto da ricevere nel febbraio 2009 in segno di riconoscenza l’ascrizione all’Istituto della Carità da parte dei padri rosminiani.
Il cardinale Corti ha chiuso la sua giornata terrena ed è entrato nella luce del Dio vivente in eterno all’età di 84 anni, il 12 maggio 2020, giorno anniversario della creazione a cardinale di san John Henry Newman, del quale era grande ammiratore e studioso e di cui aveva ripreso il motto episcopale: “Cor ad cor loquitur”. Ora in cielo vive certamente “cuore a cuore” con l’Altissimo, con la Vergine Madre e con i santi, interce- dendo per quanti ha amato e servito, e portando a Dio le invocazioni che chi ha avuto il dono di conoscerlo con fiducia gli rivolge, certo della sua attenzione “cordiale”, analoga a quella che aveva in vita per tutte le singole persone che incontrava.

Così, egli sperimenta ora nella sua persona quanto chiede va nella preghiera con cui concludeva la riflessione sull’VIII Stazione della Via Crucis, presieduta da papa Francesco al Colosseo nel 2015, accompagnata dalle meditazioni da lui preparate: «Signore Dio, ci hai chiamati alla Gerusalemme del cielo, che è la tenda di Dio con gli uomini. Ci hai promesso che là verrà asciugata ogni lacrima dai nostri occhi. Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno. Tu sarai il nostro Dio e noi il tuo popolo. Custodisci in noi la speranza che, dopo il tempo faticoso della semina nelle lacrime, arriva quello gioioso della mietitura. Amen».