Chiesa

Famiglia. Separati e risposati, percorsi di accoglienza

Luciano Moia mercoledì 22 ottobre 2014

Le indicazioni del Sinodo sono state chiare: «Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza». Impegno che la Chiesa italiana ha fatto suo da molti anni, anche perché l’obiettivo era già stato esplicitato dal Direttorio di pastorale familiare pubblicato nel 1993. Dal 2011 poi, all’indomani del convegno di Salsomaggiore dedicato al tema, è nato l’Osservatorio delle esperienze di accompagnamento ai separati e ai divorziati risposati di cui – su indicazione del direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia, don Paolo Gentili – è responsabile Emanuele Scotti che fa parte anche dell’Associazione separati fedeli. In poco più di tre anni le iniziative diocesane sono diventate 108, mentre altre decine sono quelle sorte per impulso dell’associazionismo. Esperienze molto diverse, perché rispondono a situazioni sociali ed ecclesiali che, da Nord a Sud, variano in modo anche significativo. A Treviso, per esempio, il direttore dell’Ufficio di pastorale familiare, don Sandro dalle Fratte, coordina da 11 anni due gruppi diocesani che raccolgono complessivamente oltre 120 persone. Il primo è dedicato ai separati che non 'escludono la fedeltà' al sacramento del matrimonio. Dizione cauta per indicare un percorso che non prevede punti d’arrivo obbligatori. Il secondo si rivolge invece alle coppie ricomposte, a coloro cioè che dopo la separazione hanno avviato un’altra unione, con o senza matrimonio civile. «Per coordinare questi gruppi abbiamo messo insieme un team che comprende oltre a me – spiega don dalle Fratte – una religiosa, una consacrata, una coppia e una vedova, oltre a quattro persone separate da tanti anni vicini alle nostre proposte». Gli incontri sono segnati soprattutto dall’accoglienza e dalla preghiera. Nessun approccio psicologico, nessuna modalità di auto-aiuto, «perché si rischierebbe di aumentare i problemi». La cadenza degli incontri è mensile, l’età di chi partecipa va dai 24 ai 65 anni. Si parte sempre d’accoglienza e dalla Parola di Dio. L’esigenza più avvertita? «Quella di essere accolti, di sentirsi ancora parte della Chiesa. Per questo cerchiamo innanzi tutto di valorizzare il vissuto, di non giudicare, di non creare categorie. Il problema dell’Eucarestia o della castità arriva solo dopo». E in questo modo persone che spesso erano lontanissime dalla fede, nonostante il matrimonio cristiano, scoprono per la prima volta, con l’abbraccio materno della comunità ecclesiale, anche l’alfabeto delle relazioni affettive. 

Diverso ma non meno interessante l’approccio del progetto 'Samaria', coordinato nella diocesi di Pescara-Penne, dal direttore dell’Ufficio di pastorale familiare, don Cristiano Marcucci. L’iniziativa prende corpo nel 2008. Qui i gruppi, solitamente 5-6 ogni anno, sono formati al massimo da 15 persone. Anche in questo caso da una parte i separati 'sigle' e dall’altra coloro che hanno avviato una nuova unione, anche se poi ci sono momenti comuni e week-end di spiritualità dedicati a temi specifici. A guidare i vari gruppi che si riuniscono nelle case delle persone coinvolte, una coppia e un sacerdote. All’inizio coniugi 'doc', ma ora sempre più spesso coppie di separati. «Preferiamo questa soluzione – spiega con Marcucci – così non si parla per sentito dire, ma per esperienza diretta». Altro particolare importante il coinvolgimento di numerosi sacerdoti, almeno 25, impegnati a vario titolo nella gestione del progetto. L’esperienza funziona, assicura il responsabile del-l’Ufficio famiglia, soprattutto perché consente a tante persone indifferenti o deluse, di riavvicinarsi alle nostre comunità. «Per troppo tempo molti di loro si sono sentiti cristiani di serie B. Ora avvertono che la Chiesa ascolta le loro sofferenze. Certo, stare lontani dall’Eucarestia per molti divorziati risposati è un grande dolore. Come prete – rivela don Cristiano – ho imparato molte più sul sacramento del matrimonio dalle famiglie ferite che non dal rapporto con le coppie regolari. Forse perché solo la lontananza permette di mettere a fuoco nel dolore il bene immenso che è andato smarrito». Andando ancora più a Sud, diocesi di Reggio Calabria-Bova, il panorama cambia ancora, anche dal punto di vista della pastorale per i separati e divorziati. Il direttore dell’Ufficio famiglia, don Simone Gatto, ha messo in piedi da tre anni un percorso d’accoglienza che però non fa distinzione tra separati 'fedeli' e coppie ricomposte. «Siamo convinti che la condivisione delle varie esperienze sia motivo d’arricchimento per i diversi gruppi. Stiamo insieme per accoglierci reciprocamente anche sulla base di scelte differenti», osserva don Gatto. Si punta sia sulla preghiera con la catechesi biblica, sia sulla riflessione antropologica. «Condividere le sofferenze personali diventa così uno stile di famiglia». Quest’anno agli incontri prendono parte una trentina di persone. Una volta al mese ci si ritrova per un cammino comunitario che prevede anche la riconciliazione personale e familiare. «Dobbiamo far percepire la bellezza di una Chiesa che, proprio come dice Francesco, è in grado di prevenire, accompagnare e curare », osserva ancora il direttore dell’Ufficio diocesano. Una specificità della proposta di Reggio Calabria: in alcune situazioni agli incontri vengono invitati anche i familiari dei separati e dei divorziati. I risultati? «Incoraggianti, perché quando una famiglia si disgrega, tutti soffrono, non solo la coppia coinvolta. E questa è una consapevolezza importante per tutti. E tutti devono esserne guariti».