Chiesa

INTERVISTA A MARCO SCARPATI (ECPAT). «Chiesa e procure, nuova alleanza»

Lucia Bellaspiga sabato 10 luglio 2010
«I panni sporchi si lavano in casa, ma certe volte è bene lavarli al tor­rente ». E lui, Marco Scarpati, av­vocato che nei processi come nella vita ha scelto di difendere la parte debole - le vitti­me più inermi di orchi spesso intoccabili - è appena tornato dall’Oriente, dove di panni da lavare ce ne sono fin troppi, spesso per colpa di turisti del sesso partiti dall’Italia. «In Thailandia ho trovato una Bangkok deserta a causa dei recenti scontri, ma i pedofili oc­cidentali si sono riversati in Laos e Cambo­gia ».Silenzioso e impunito, il fenomeno dunque dilaga nell’indifferenza dei media, che passano sopra a un vero olocausto di di­mensioni drammatiche. Lo sanno bene per­sone come Scarpati, presidente di Ecpat I­talia (End child prostitution pornography and trafficking), l’associazione che da vent’anni opera in 80 Paesi contro lo sfrut­tamento sessuale dei bambini e delle bam­bine, «uno dei mercati più proficui per le or­ganizzazioni criminali, insieme a droga e ar­mi ». È un raro tipo di avvocato idealista, Scarpa­ti, «dichiaratamente laico e fermamente a­teo » ma innamorato della vita, specie quel­la fragile, al punto da fare la spola tra i 19 Paesi di cui è il referente (dall’estremo O­riente all’Africa, dall’Est Europa al Centro e Sud America) e non di rado tornare da mo­glie e figlie con una piccola vittima da pro­teggere tra le mura domestiche. «Non si gua­dagna come difendendo i potenti - ammet­te - ma quando ci guardiamo allo specchio quel che vediamo è decente», sorride. Quali altre notizie porta dall’Oriente? La situazione è orribile un po’ ovunque, e ad opporvisi sono soltanto i missionari ele Ong. Nelle Filippine in prima linea ci sono frati e suorine spesso giovani quasi quanto le ra­gazzine che insieme andiamo a liberare: si tolgono il velo per non farsi riconoscere e vengono con noi di Ecpat nei bordelli. An­che in Sri Lanka a combattere con forza c’è la Chiesa cattolica, penso soprattutto ai ge­suiti. Torniamo in Italia. Lei ha ormai affrontato molti casi dolorosi di pedofilia, difenden­do sempre le vittime. Comprendo perfettamente che anche il pe­dofilo, come qualsiasi persona compia un reato, ha diritto a una difesa, ma io sincera­mente avrei grossi problemi con me stesso a stare da quella parte. Finora ho seguito più di 120 casi, sempre molto complicati perché c’è di mezzo la psiche dei bambini, che già di per sé è delicata, ma in più di bambini che sono stati plagiati. Infatti occorre chiarire subito una cosa: il pedofilo non è, come si scrive spesso, un sadico che odia i bambini e fa loro del male, anzi, si presenta come u­na persona buona, un amico dolce, cui il bambino si affida perché non lo vive come pericoloso ma come un 'big brother', un grande fratello buono, e questo ne aumen­ta la pericolosità. Così il bimbo entra nel suo gioco, ne fa parte e il problema diventa e­norme nei processi, quando non vuole tra­dirlo e, se lo fa, si macera in sensi di colpa spaventosi. Tra i casi più gravosi che lei ha seguito c’è quello di Marco Dessì, ex missionario in Ni­caragua. Proprio in questi giorni si ripete il processo di secondo grado, dopo che la Cassazione lo aveva annullato per un vizio di forma... La prima denuncia a don Dessì risale al 1990, quando un giornalista in visita nella missio­ne in Nicaragua si accorge che qualcosa non va e si rivolge ai superiori. Purtroppo per molti anni il prete è stato solo spostato dal­la canonica a una casa accanto e ha potuto ancora commettere i reati, oggi prescritti. Il giro di vite clamoroso avviene nel 2006, quando il Vaticano invia in Nicaragua due re­ligiosi a indagare e questi tornano con un mare di prove che lo inchiodano. Subito le due associazioni cattoliche che finanziano la missione mi hanno contattato per difen­dere le vittime e - lo dico da ateo - la Con­gregazione per la Dottrina della fede ha o­perato in modo magistrale. Il Vaticano ha or- dinato a Dessì di venire in Italia, unico mo­do perché potesse essere controllato dai Ca­rabinieri e poi arrestato. Da giurista e da lai­co dico che si è agito con volontà ferrea di fare giustizia, in stretta collaborazione tra la Chiesa e la procura, e altri miei colleghi han­no esperienze analoghe. I ragazzini nicara­guegni, venuti in Italia a testimoniare e te­nuti sotto protezione per mesi, sono stati ac­colti con le loro famiglie alla Congregazione per la dottrina della fede, do­ve gli è stato chiesto perdo­no a nome di tutta la Chie­sa: ricordo le loro lacrime di gioia. Anche il promotore di giustizia, monsignor Sciclu­na, ebbe un ruolo fonda­mentale. Ovvero? «La giustizia divina farà il suo corso - disse - ma quel­la ordinaria ha altri compiti, la procura de­ve agire». In effetti la Chiesa è stata più se­vera dei tribunali, ha già messo la sua paro­la definitiva riducendo allo stato laicale Des­sì e proibendogli per sempre di tornare in Nicaragua, mentre la giustizia ordinaria si è bloccata a causa della solita lentezza dei pro­cessi e pochi giorni fa l’imputato (che in pri­mo grado ha preso 12 anni) è stato scarce­rato per decorrenza dei termini. È una brut­ta pagina di giustizia italiana, spero si arrivi presto a una sentenza definitiva. Come giudica le parole del Papa sui preti pedofili? Un caso come quello di Dessì è la prova evi­dente che si respira un nuovo clima: se in passato certamente qualche copertura c’è stata, oggi eventuali colpevoli sanno che non c’è alcuna accondiscendenza. Chi accusa il Papa è in malafede: ciò che ha detto e ha fat­to non ha precedenti in nessun’altra realtà, che siano istituzioni o Stati. Già quando Papa era Wojtyla, l’allora car­dinale Ratzinger alzò chiara e netta la sua vo­ce durante la Via Crucis del 2005: «Quanta spor­cizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che nel sacerdozio do­vrebbero appartenere a lui...». Ma splendida è oggi la sua lettera ai cattolici irlandesi, un vero e proprio mani­festo che naturalmente vale per tutti: «La giustizia di Dio esige che rendiamo conto delle nostre azioni senza nascondere nulla. Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia». Eppure ancora qualcuno lo critica. Chi alza il coperchio della pentola è investi­to dalla vampata. Tra qualche anno la storia gli renderà merito.