Chiesa

Scalabrini santo. Il vescovo Cevolotto: «Andava incontro ai poveri per averne cura»

Barbara Sartori sabato 8 ottobre 2022

Un pastore in uscita. Che si mette nei panni dell’altro per allargare lo sguardo, capire meglio la realtà, studiare risposte. Il vescovo di Piacenza-Bobbio Adriano Cevolotto non nasconde che l’odierna canonizzazione di Giovanni Battista Scalabrini è prima di tutto per lui, che ne è il successore, un momento di grazia. «L’attualità delle sue scelte e delle sue parole – riflette – confermano che nella santità viene sviluppata l’intelligenza spirituale, che è la capacità di entrare nel tempo che si vive e nelle dinamiche umane, sotto l’azione dello Spirito Santo. Il risultato sono valutazioni che mantengono un’attualità sorprendente».

L’attualità di Scalabrini, per la quale è conosciuto ai più, è la sua capacità di leggere il fenomeno migratorio. Con quali attenzioni, che possono valere anche oggi?
Il carisma di cura verso gli emigrati di Scalabrini nasce dal suo ministero di vescovo. Non sono un caso le tante visite pastorali in diocesi, raggiungendo i punti più lontani a dorso di mulo. Erano un’indicazione, ma non tutti le facevano. Lui invece aveva capito che per capire bisogna andare, bisogna incontrare. Solo così si può guardare la realtà da un altro punto di vista: dal porto di partenza, più che dalle banchine di arrivo. Vale anche per noi. Se guardiamo al fenomeno migratorio da Lampedusa, è un conto. Se lo guardiamo dai Paesi di partenza, dal deserto che queste persone attraversano, dalla Libia... è un’altra cosa.

Le intuizioni di Scalabrini che strade suggeriscono alla Chiesa italiana?
Non era scontato affermare che i migranti non possono essere considerati solo come oggetto di compassione, di aiuto, ma che sono soggetti attivi di evangelizzazione. Ma se sono portatori di una ricchezza, devono essere messi nelle condizioni per esprimerla. L’altro aspetto caratteristico dell’agire di Scalabrini è l’affrontare le situazioni andandole a condividere. Nelle traversate oltre Oceano non ha altra strada rispetto a quella dei migranti: si immerge nelle loro fatiche, nei dolori, negli odori... Credo che la Chiesa italiana si stia già impegnando molto. Forse, sono le comunità a dover crescere un po’ di più.

La provincia di Piacenza è seconda in Italia per numero di bambini di nazionalità straniera nelle scuole. È una realtà che interroga anche la diocesi. Come costruire spazi di dialogo?

Una strada avviata è il dialogo con i responsabili delle confessioni cristiane e delle altre religioni. È la “piattaforma” di conoscenza, di stima, di incontro dalla quale si può costruire altro. L’ultima occasione ci ha visti uniti per il Mese del Creato. Mi piacerebbe in futuro coinvolgere i giovani delle varie fedi in un’esperienza comune di cammino, di pellegrinaggio. E poi ci sono le frontiere del quotidiano: la scuola, lo sport... La conoscenza reciproca e l’integrazione passano da lì.

Scalabrini è anche l’apostolo del catechismo. Che eredità ci lascia?
Ci consegna la serietà nell’affrontare la questione della trasmissione della fede alle nuove generazioni. Un cantiere del Cammino sinodale ci inviterà a domandarci: come la comunità cristiana è soggetto di iniziazione? Lui operava in un contesto culturale e politico tutt’altro che benevolo, oggi credo che il pericolo più subdolo sia l’indifferenza nei confronti del religioso.

Però anche oggi si assiste alla rinascita di posizioni “contro”. Come rispondere?
Scalabrini, che non era certo un rinunciatario, ai sacerdoti scriveva di «mettersi in ginocchio davanti al mondo per implorare come una grazia il permesso di fargli del bene». In un tempo di diffidenza, di chiusura, invitava inoltre a «uscire dal tempio, se vogliamo esercitare un’azione salutare nel tempio». Ci indica, a mio avviso, non la strada della polemica aggressiva, ma della ricerca di una paziente relazione, nella consapevolezza che ho una ricchezza da offrire, ma che non posso imporla. Ecco di nuovo la volontà di capire l’interlocutore, prima di giudicarlo. A Leone XIII, dopo aver incontrato il presidente Usa, scriveva: «L’incontro è stato utile, non perché gli americani abbiano capito me. Ma perché io ho capito loro».