Chiesa

CHIESA IN ITALIA. Quando la carità fa i conti con la crisi economica

Eugenio Fatigante martedì 17 marzo 2009
La crisi economica che incalza costringe anche la Chiesa a interrogarsi su come ri­pensare e gestire aiuti e carità. Partendo da due punti fermi: «Non siamo in grado di aiu­tare tutti» e «non è facile leggere oggi ciò che succederà nei prossimi anni». Abituati a trova­re risposte a domande complesse, gli economi diocesani si trovano negli ultimi mesi di fronte a compiti anche maggiori, quasi di supporto al ruolo pubblico nelle emergenze scaturite dal di­lagare della crisi. Capita perciò al momento op­portuno il sesto Convegno nazionale degli eco­nomi, cominciato ieri a Chianciano Terme (do­ve si chiuderà domani): sono 270 i presenti (in rappresentanza di 127 dio­cesi italiane più quella «o­spite » di Malta), ai quali si è rivolto il loro massimo «re­ferente », monsignor Giam­pietro Fasani, che è l’econo­mo della Conferenza epi­scopale italiana. Una relazione densa e a più piani, la sua: da «tempi di crisi». A partire dai numeri generali, che preoccupano la Cei: «Fino a qualche me­se fa – ha ricordato Fasani – si parlava di 900mila licen­ziati o cassintegrati, ora l’i­potetica cifra si muove fra 1,2 e 1,5 milioni. Basti pen­sare che solo a gennaio e febbraio sono entrate in queste categorie 370mila persone». Davanti a numeri simili è facile farsi prendere dalla «frenesia» di voler aiutare. Deve entrare al­lora in gioco la professionalità di chi, dentro la Chiesa, vive come suo ministero il saper coniu­gare pastorale e aritmetica. Fasani ha esortato i suoi «colleghi» alla cautela: in primo luogo per­ché «non è detto che le persone toccate all’ini­zio dalla crisi siano poi quelle che saranno più in difficoltà». Ma anche perché l’insidia di «fa­cili critiche» è sempre dietro l’angolo: «Senza u­na griglia che permetta di individuare i desti­natari, possiamo essere accusati di superficia­lità, di preferenze, di miopia». Non solo: «La ca­rità delle nostre comunità è tanta, ma sarà di certo ridotta in futuro». Ergo, bisogna attrezzarsi per utilizzarla al meglio. Molte diocesi si sono già mosse, o predispo- nendo fondi straordinari o potenziando le nor­mali attività caritatevoli. Sia in un caso sia nel-­l’altro, ha però avvertito Fasani, non è possibile «fare le cose in modo raffazzonato» perché «non è questo il tempo». Per farlo meglio capire l’e­conomo della Cei ha fatto «un esempio concre­to: se abbiamo un milione di euro a disposizio­ne e le famiglie toccate dalla povertà sono tre­mila, noi riusciremo a dare 334 euro una volta a tutte. E poi?». Da qui deriva l’esigenza di una programmazio­ne straordinaria, per saper meglio rispondere al nuovo contesto sociale. Con una capacità di ri­sposta che deve riscrivere lo stesso approccio a­vuto finora. Perché Fasani ha avvisato, inoltre, che «avendo modo di incontrare vescovi ed e­conomi, mi accorgo che ci si è troppo adagiati sull’8 per mille». Al punto che molte diocesi prendono da questo canale «oltre l’80% dei lo­ro fabbisogni». Si sta perdendo il «coinvolgi­mento » dei fedeli nella «responsabilità della vi­ta della comunità». E in alcuni casi si è arrivati all’eccesso di «iniziare a vendere patrimoni im­mobiliari o terreni per fare fronte alle esigenze 'normali'». Secondo Fasani bisogna saper pen­sare invece a forme innovative di raccolta fon­di e, in generale, bisogna formare gruppi di «competenti» che sappiano sviluppare una «am­ministrazione corretta e trasparente», per con­tinuare a fare anche di questo servizio «un se­gno positivo e una testimonianza visibile nel mondo di oggi». Al riguardo Fasani ha citato, co­me solida base formativa, i due ultimi docu­menti: l’«Istruzione in materia amministrativa» e «La gestione e l’amministrazione della par­rocchia ». Due pietre miliari da cui partire.