Chiesa

LA STORIA. Padre Lamberto, prete da 80 anni «nel cuore giovani e malati»

Paolo Pittaluga venerdì 13 agosto 2010
«Serena giornata». È l’augurio con cui ci accoglie padre Ferraris. La giornata serena sulle montagne che cingono il lago d’Orta sembra prendere luce dagli occhi azzurro chiari di questo sacerdote che a 102 anni sorride al visitatore. Padre Lamberto Ferraris, classe 1908 – 14 aprile per l’anagrafe – nato a Santa Cristina di Borgomanero, nel Novarese, é ospite della Casa del Clero di Miasino. Un borgo dove il tempo si è fermato, nelle stradine e nei pochi abitanti che si attardano a scambiare due parole. Padre Lamberto è nella Cappella: non sono neppure le dieci e lui è lì in preghiera. Ci accompagna padre Matteo Borroni, parroco di San Giuseppe a Novara, che guarda premurosamente l’anziano confratello (la congregazione è quella dei Padri oblati dei santi Gaudenzio e Carlo missionari di Maria) che conobbe proprio nella parrocchia novarese. Padre Lamberto chiede se ci siamo «scomodati» a venire da Milano proprio per lui. «Son certo che avrà molte cose da raccontare» gli diciamo. «Altroché, sono stato un tappabuchi, da una parrocchia all’altra…». Cerca un posto comodo per noi che, ci dice, «dovete lavorare»: lui cammina senza incertezze, leggermente ingobbito e leggermente sordo: piccoli "acciacchi".Primogenito – di sei fratelli – di uno zoccolaio «che coltivava anche la terra» e di una «mamma che faceva la mamma» a dieci anni entrava nel Seminario di San Carlo ad Arona. È il tempo della Prima Guerra mondiale: «Giocavo sul fieno e suona la campana – ricorda – era cominciata la Guerra». Come alla fine: «Il sacrista correva in chiesa per suonare le campane e urlava "è finito tutto"». Memorie che novant’anni non hanno annebbiato: «vedevo i militari che partivano, quelli che tornavano in licenza, i feriti che arrivavano in treno a Borgomanero per essere curati». Il 20 dicembre 1930 Lamberto Ferraris viene ordinato sacerdote dal vescovo di Novara, Giuseppe Castelli, alle 6 della mattina. È l’inizio di un lungo cammino pastorale. Cinque anni nel Duomo novarese come coadiutore e assistente spirituale dell’associazione Regaldini che si occupava degli studenti: «c’era Oscar Luigi Scalfaro – sottolinea – e Paolo Bonomi» (il fondatore della Coldiretti, ndr). Poi due parrocchie in Val Formazza, in montagna «dove camminavo tanto». Quindi la scelta di farsi oblato diocesano «su ispirazione di don Silvio Gallotti (ora venerabile) e del vescovo Castelli». Torna a Novara: per 18 anni coadiutore in San Giuseppe e assistente dei ragazzi di Azione cattolica. «Ero un coadiutore un po’ sbandato» spiega, perché andava in giro in bicicletta e in moto a cercare i giovani e a visitare i malati. Col passare degli anni prese a spostarsi «a piedi perché si incontra più gente» osserva. I giovani, quelli con cui andare in giro nelle vacanze (gli odierni campi). Ricorda qualche episodio curioso? Quanti ce ne sarebbero ma uno è quello del viaggio a Roma in bicicletta. «Era il ’45, siamo andati in tre in 6 giorni. Era tutto distrutto. Scendemmo dal Tirreno e tornammo dall’Adriatico. Ma non scrivetelo – si raccomanda – eravamo solo in tre, molti avevano rinunciato». Riprende la narrazione delle tappe: 14 anni come vice rettore del Santuario della Santissima Pietà a Cannobio. Poi, nel 1970, il ritorno nella parrocchia di San Giuseppe a Novara come coadiutore. Vi resterà sino al 2006, a 98 anni! Sempre in giro, in moto e auto, la patente la prende nel 1972. Ora qui, in quest’oasi di pace. La giornata tipo? Si alza alle 5 («sono vecchio, mi ci vuole un po’ per vestirmi») preghiera e meditazione prima della colazione alle 7.30. Alle 9 la Messa e ancora preghiera. Alle 11 lettura del Breviario assieme agli altri ospiti della Casa. Alle 12 il pranzo seguito dal riposino, quindi da solo in chiesa per un’ora di preghiera. Alle 16.30 Vespri e Rosario, una passeggiata in cortile, alle 19 la cena e alle 21 a dormire. La televisione? «L’ho fatta portar via, non avevo tempo». Anche quand’era a Novara? «Era più importante fare compagnia a chi ne aveva bisogno», spiega. Qualche passione? «Suonavo l’organo in chiesa». E lo sport? «Il calcio non mi è mai interessato. Il ciclismo mi piaceva ai tempi di Coppi e Bartali. Ora non mi interessa più». Ha visto il magistero di nove Papi: ha qualche ricordo particolare? «Quando morì Pio X (20 agosto 1914, ndr) la gente del paese urlava "è morto il Papa"». Padre Ferraris, aveva 4 anni, lo ricorda ancora? «Come se fosse ora». E il Pontefice che ha apprezzato?: «Ognuno ha la sua particolarità, è amabile e stimabile. Son tutti Pastori e santi». E i giovani ai quali ha dedicato tanto tempo? «Sono la mia vita» sottolinea. Ma oggi sono un po’ diversi da quelli che seguiva lei… «Sono cambiati i costumi e la società. Modi e tempi diversi. Allora si stava più vicini. Forse – chiosa – c’è anche un po’ di responsabilità dei sacerdoti che non sanno tenerli vicini alla Chiesa». Un aneddoto sui giovani? Si sofferma sulle molte estati con i 15-18enni: 6 sul Monte Rosa, tante ad Alagna «e quelle passeggiate da un alpeggio all’altro». Anche questo rivissuto con la serenità di un giovane che, a dispetto dei 102 anni, non si perde un ritiro degli Oblati. E che il prossimo 20 dicembre festeggerà gli ottant’anni di ordinazione sacerdotale.