Chiesa

LA STORIA. Quei pozzi costruiti da “papà Balbo” Così «questa terra mi ha cambiato»

Giorgio Paolucci venerdì 18 novembre 2011
Questo è il suo centesimo viaggio in Benin. Cento viaggi in quarant’anni, in una terra che ha lasciato un’impronta indelebile nel cuore di Alpidio Balbo. Domani incontrerà Benedetto XVI, nel secondo giorno della sua visita apostolica, e riceverà un riconoscimento (richiesto dalla locale conferenza episcopale) per la sua attività a favore del Paese. Un’attività segnata da cifre impressionanti: la costruzione di 600 pozzi per l’acqua potabile, 80 tra scuole e centri di formazione professionale, piccoli ospedali, dispensari, centri nutrizionali, 200 container spediti dall’Italia, un migliaio di bambini aiutati con il sostegno a distanza. Un fiume di bene, risalendo il quale si arriva a una sorgente tanto sorprendente quanto rivelatrice. Nel 1970 Alpidio Balbo, titolare a Merano di una fiorente azienda che commercia macchine per cucire, è coinvolto in un grave incidente stradale: un anno di ospedale, gambe paralizzate, lesione cerebrale, medici scettici sulle possibilità di riabilitazione. Poi qualche segno di miglioramento, c’è chi parla di miracolo ma lui non ci crede. Dopo una lunga convalescenza, alcune settimane di vacanza in uno splendido villaggio turistico a Lomé, in Togo. Prima di rientrare in Italia, una tappa a Bohicon, nel sud del Benin, su insistenza di un sacerdote conoscente della moglie, per consegnare una lettera ad Anna Rizzardi, una suora trentina che lavorava in un dispensario. «Me lo ricordo come fosse oggi, quel 4 marzo del 1971 – racconta Balbo –. Doveva essere solo una commissione per far piacere alla mia signora, è diventata il fatto che mi ha cambiato la vita. In poche ore ho visto sei bambini morire davanti ai miei occhi per mancanza di medicine assolutamente comuni in Europa. Io, turista benestante, abbronzato, con le valigie firmate, facevo i conti con la miseria e l’impotenza e mi misuravo con una domanda di vita a cui non potevo rispondere. Un pugno nello stomaco, uno scossone alla mia fede tiepida e abitudinaria, una provocazione che mi ha fatto riandare con la memoria a quello che era capitato a me un anno prima. Quel giorno ho capito che Cristo, che avevo sempre considerato qualcosa di astratto e lontano, era venuto a visitarmi».Torna in Italia e, con l’aiuto della famiglia e degli amici, si mette all’opera per aiutare la gente del Benin. Raccoglie soldi e medicinali, coinvolge la rete di commercianti e imprenditori con cui lavora, ogni tre mesi parte per l’Africa con un container di farmaci e apparecchiature medicali, gira un documentario in superotto, “Safari nel dolore”, col quale vince l’Airone d’oro al festival del cinema di Montecatini, porta la sua testimonianza in centinaia di incontri promossi da scuole, parrocchie, centri culturali. E getta le fondamenta di un ponte tra l’Italia e l’Africa: nasce il Gruppo Missionario Merano “Un pozzo per la vita” (Gmm), che oggi è una piccola holding della carità ramificata in varie città d’Italia e l’appoggio di oltre cinquemila benefattori. «È un grande cuore che non smette mai di pulsare e mi dà l’energia per continuare anche ora che ho varcato la soglia degli ottant’anni. Sono certo che l’albero che ho piantato continuerà a crescere, anche per l’amicizia che mi lega a chi mi ha accompagnato in questi anni: il nuovo presidente che da poco ha preso il mio posto, Roberto Vivarelli, gli amici di Merano e tante persone che testimoniano come la fede sia capace di dare dignità alla povertà e riempire di positività ogni esistenza».Non solo Benin: il fiume di carità alimentato da Balbo ha promosso progetti di cooperazione allo sviluppo anche in Togo, Burkina Faso, Niger, Ghana, Camerun, Ciad, Kenya, Madagascar, Congo e, in America Latina, in Brasile, Ecuador e Perù (www.gruppomissionariomerano.it). In accordo con le diocesi e gli enti caritatevoli della Chiesa cattolica presenti sul posto, promuove opere in campo educativo, sanitario, agricolo, ambientale e della formazione professionale.È dei giorni scorsi l’inaugurazione – alla presenza di quello che qui tutti chiamano “papà Balbo” – di un’iniziativa nata in Benin grazie alla collaborazione del Gmm: una sala informatica presso il Collegio d’insegnamento generale di Bagou, primo passo del progetto Izod (Informatica in zone desertiche). «Qui l’analfabetismo è una piaga dolorosa – ha detto il re dei Baribà (un’etnia locale) in occasione dell’inaugurazione –. Vi ringraziamo perché date ai nostri ragazzi la possibilità di imparare qualcosa più di noi». «Ma sono io che devo molto a questa gente – commenta Balbo –. È un popolo straordinario: la povertà non cancella il sorriso dai loro volti, è gente che apprezza e vive fino in fondo il presente, mentre noi siamo angosciati dal futuro, pensiamo che l’esistenza sia nelle nostre mani e dipenda tutta dalla nostra capacità di fare. Ringrazio Dio di averli incontrati, e tramite loro di avere incontrato Lui».