Chiesa

SOSTENTAMENTO AL CLERO. Pompili: Chiesa non ha nulla da nascondere

mercoledì 6 febbraio 2013
"La Chiesa non ha nulla da nascondere; la credibilità va guadagnata sul campo; promuovere una mentalità del rendiconto; trasformare i principi in norme precise; aspirare a essere un modello in positivo”: sono queste alcune “azioni semplici” per rafforzare “la percezione dell’immagine autentica della Chiesa nel suo rapporto con il patrimonio che è chiamata a gestire” come nel caso degli Istituti diocesani per il sostentamento clero (Idsc). A parlarne al convegno nazionale degli Idsc, che si chiude oggi a Roma, è stato mons. Domenico Pompili, sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali. Azioni che, per mons. Pompili, sono utili a rispondere alle critiche mosse alla Chiesa di scarsa trasparenza, di volersi sottrarre “volentieri” ai controlli statali. “La Chiesa - ha detto - deve rendere ragione del proprio operato; è dunque giusto e opportuno curare la dimensione comunicativa nella direzione della trasparenza. Come istituzione che riceve un contributo da redistribuire e possiede un patrimonio da amministrare, c’è un dovere di informare indifferibile. In tal modo si potrà ridurre lo scarto tra ciò che si fa e ciò che è conosciuto, prendendo sul serio il bisogno, talora espresso in modo polemico e tuttavia legittimo, di sapere, in tempi di scarsità per tutti, come i fondi vengono usati e come i beni vengono valorizzati”. “La Chiesa non ha nulla da nascondere: è questo il messaggio che deve trapelare dall’agire e dalle pratiche di un Idsc in modo che non si diano zone grigie che possano lasciar intendere qualcosa di poco meno che corretto”, ha dichiarato mons.Pompili, che ha ribadito che “la credibilità va guadagnata sul campo: nell’esercizio del proprio lavoro l’Idsc deve essere ancor più ligio alle norme legittime senza invocare improbabili esenzioni. Non esiste un doppio standard o una doppia morale in base alla quale alcune cose sarebbero consentite in omaggio all’eminente finalità della Chiesa”. Urge, poi, “promuovere una mentalità del rendiconto: né la gerarchia né i sacerdoti o i laici preposti sono i proprietari dei beni della Chiesa. Le persone hanno diritto a essere informate sulle questioni rilevanti dell’istituzione”. I principi vanno trasformati in norme precise, “non bisogna aspettare la crisi per affrontare poi la necessità di regole precise”. Altra priorità ravvisata dal sottosegretario Cei è quella di “aspirare ad essere un modello in positivo: la trasparenza non va percepita come un pedaggio da pagare alla pubblica opinione, ma come la strada per evitare la mancanza di controllo che ingenera pericolosi baratri finanziari. Non lasciare spazi top secret e permettere che la trasparenza delle operazioni incoraggi un circolo virtuoso”.