Chiesa

Abusi. Appello respinto, il cardinale Pell torna in carcere. I dubbi di un giudice

Francesco Ognibene mercoledì 21 agosto 2019

Poco dopo le 9.30 di Melbourne, l’1.30 italiana di mercoledì 21 agosto, è stata annunciata la decisione dei giudici dopo l’udienza di appello tenutasi ai primi di giugno. La decisione giunge dopo che un primo processo per “reati storici” di abuso sessuale si era concluso senza un verdetto, mentre nel processo di primo grado la giuria aveva adottato all'unanimità un verdetto di colpevolezza. Un secondo capo di imputazione era stato invece respinto dal tribunale per mancanza di prove ammissibili. La sentenza di appello che giunge ora, invece, è stata frutto di un confronto che ha diviso la giuria: a pronunciarsi per la conferma della condanna di primo grado sono stati infatti due giudici su tre, un dato che conferma come il collegio giudicante non sia stato del tutto convinto dagli argomenti portati dal pubblico ministero. I legali di Pell stanno esaminando la possibilità di ricorrere all'Alta Corte, ultima istanza di giudizio. Intanto il cardinale Pell è stato riaccompagnato in carcere.

I dubbi del giudice dissenziente

Intanto, il giudice Mark Weinberg, che si è pronunciato contro la decisione di respingere l'appello del cardinale alla condanna di primo grado ha espresso dubbi sulle prove portate dall'accusa sostenendo che ci siano "significative possibilità" che l'accusato non sia colpevole perché ci sarebbe "una serie di prove che rendono impossibile accettare" la testimonianza decisiva per la formulazione del verdetto di condanna. Come riferiscono i media australiani, nel suo parere dissenziente il giudice ha detto che la decisione sul caso dipendeva interamente dal fatto che la testimonianza della vittima (uno dei due ex adolescenti che si presumono abusati da Pell nella sacrestia della cattedrale di Melbourne, l'altro è morto nel 2014) fosse credibile al di là di ogni ragionevole dubbio. "La giuria - ha scritto Weinberg - è stata invitata ad accettare la sua prova senza che ci fosse alcun supporto indipendente a essa". Non solo: in quanto affermato dal testimone "c'erano incoerenze e discrepanze e alcune delle sue risposte semplicemente non avevano senso".

I vescovi australiani: un giudizio molto doloroso per tutti

In una nota il presidente dei vescovi australiani, l'arcivescovo Mark Coleridge, afferma che la Chiesa cattolica del Paese crede che "tutti gli australiani devono essere uguali davanti alla legge e di conseguenza accetta il verdetto". "I vescovi - aggiunge la nota - si rendono conto che questo è stato e resta un tempo particolarmente difficile per i minori sopravvissuti agli abusi sessuali e per chi li sostiene. Riconosciamo il dolore che chi è stato abusato da sacerdoti ha sperimentato durante il lungo processo" e insieme "riconosciamo che questo giudizio sarà molto doloroso per molte persone. Restiamo impegnati a fare tutto il possibile per portare consolazione a quanti hanno molto sofferto e per assicurare che gli ambienti cattolici sono i posti più sicuri per tutti, ma specialmente per i bambini e gli adulti vulnerabili".

Il comunicato della Sala Stampa della Santa Sede


Ribadendo il proprio rispetto per le autorità giudiziarie australiane, come dichiarato il 26 febbraio in occasione del giudizio in primo grado, la Santa Sede - riferisce il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni - prende atto della decisione di respingere l’appello del cardinale George Pell. In attesa di conoscere gli eventuali ulteriori sviluppi del procedimento giudiziario, ricorda che il cardinale ha sempre ribadito la sua innocenza. E che è suo diritto ricorrere all’Alta Corte. Nell’occasione, insieme alla Chiesa di Australia, la Santa Sede conferma la vicinanza alle vittime di abusi sessuali e l’impegno, attraverso le competenti autorità ecclesiastiche, a perseguire i membri del clero che ne siano responsabili.

Una vicenda controversa

Il processo di primo grado a Pell, che riapriva un dossier precedentemente archiviato e che riguardava accuse di abusi su due coristi minorenni alla fine degli anni Novanta quand’era arcivescovo di Melbourne, si era concluso nel dicembre 2018 col verdetto di condanna a sei anni di detenzione reso noto il 26 febbraio.

Dopo che il Papa aveva concesso a Pell un periodo di congedo per consentirgli di difendersi tornando in patria, nello stesso giorno in cui era stato annunciato il verdetto la Sala stampa della Santa Sede aveva diffuso una dichiarazione in cui aveva confermato «le misure cautelari già disposte nei confronti del cardinale George Pell dall’ordinario del luogo al suo rientro in Australia», cioè che «in attesa dell’accertamento definitivo dei fatti, al cardinale Pell sia proibito in via cautelativa l’esercizio pubblico del ministero e, come di norma, il contatto in qualsiasi modo e forma con minori di età».

Il porporato, sul conto del quale è aperto anche un processo canonico, sta attendendo in carcere di conoscere il suo destino. Avevano destato grande impressione le immagini che ritraevano Pell condotto nell’aula del tribunale in manette, come un pericoloso criminale, mentre – lo ricordava la stessa nota vaticana – «il cardinale ha ribadito la sua innocenza e ha il diritto di difendersi fino all’ultimo grado». Dalla Sala stampa della Santa Sede si sottolineava al contempo «il massimo rispetto per le autorità giudiziarie australiane» affermando che «ci uniamo ai vescovi australiani nel pregare per tutte le vittime di abuso, ribadendo il nostro impegno a fare tutto il possibile perché la Chiesa sia una casa sicura per tutti, specialmente per i bambini e i più vulnerabili».

Quando il cardinale era stato rinviato a giudizio, nel giugno 2017, la Santa Sede ricordato che Pell «da decenni ha condannato apertamente e ripetutamente gli abusi commessi contro minori come atti immorali e intollerabili, ha cooperato in passato con le Autorità australiane (ad esempio nelle deposizioni rese alla Royal Commission), ha appoggiato la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori e, infine, come Vescovo diocesano in Australia ha introdotto sistemi e procedure per la protezione di minori, e per fornire assistenza alle vittime di abusi».

Durante le udienze del processo di appello, cui Pell ha sempre preso parte, il pubblico ministero è stato incalzato dai tre giudici della Corte e – come ha notato il quotidiano inglese "Guardian" – «ha faticato a rispondere alle loro domande». Al verdetto della Corte sia l’accusa sia la difesa potranno opporre un ultimo ricorso all’Alta Corte australiana.