Chiesa

Il caso. Dossier avvelenato contro il Papa. Francesco: «Giudicate voi»

Francesco Ognibene lunedì 27 agosto 2018

Il Papa chiede le dimissioni di vescovi che pur essendo a conoscenza di abusi e comportamenti inappropriati del clero non fanno ciò che è in loro potere per fermarli; il Papa sapeva da tempo delle malefatte del cardinale McCarrick ma ha ignorato le accuse agendo solo tardivamente; il Papa si dimetta. È il vertiginoso sillogismo che sintetizza il lungo e puntiglioso dossier diffuso domenica a mezzo stampa (in Italia dal quotidiano «La Verità») dall’ex nunzio negli Stati Uniti monsignor Carlo Maria Viganò, con l’incredibile richiesta finale sul conto del Papa (per il quale peraltro poco dopo chiede di pregare): «In questo momento estremamente drammatico per la Chiesa universale riconosca i suoi errori e in coerenza con il conclamato principio di tolleranza zero, papa Francesco sia il primo a dare il buon esempio a Cardinali e Vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro».

Una petizione pubblica cui si stenta a credere, e alla quale il Papa domenica sera a domanda diretta da parte di una giornalista americana nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Dublino ha risposto in modo eloquente: «Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e sinceramente devo dirvi questo, a lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così».

E in effetti le 11 cartelle della «Testimonianza» diffusa tramite i media dallo stesso monsignor Viganò si commentano da sole anzitutto per la durezza con la quale un prelato con lunga esperienza di servizio alla Santa Sede tratta un Papa come Francesco che si spende con eccezionale rigore e chiarezza sulla piaga degli abusi e dei comportamenti inconciliabili con il ministero sacerdotale, in piena continuità con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, accusandolo apertamente di aver sottovalutato se non coperto gli atti dell’arcivescovo emerito di Washington Theodore McCarrick, lo stesso – va ricordato – del quale ha accettato il 28 luglio «la rinuncia da membro del Collegio cardinalizio» disponendone anche la «sospensione dall’esercizio di qualsiasi ministero pubblico, insieme all’obbligo di rimanere in una casa che gli verrà indicata, per una vita di preghiera e di penitenza, fino a quando le accuse che gli vengono rivolte siano chiarite dal regolare processo canonico».

Un atto pubblico, concreto ed efficace che come un gran numero di altri gesti, documenti e discorsi – dall'istituzione della Pontificia Commissione per la tutela dei minori alla recentissima «Lettera al popolo di Dio» in tema di abusi – documentano in modo incontrovertibile la risolutezza con la quale il Papa sta agendo su un tema del quale ha parlato senza mezzi termini anche nella due giorni irlandese. C’è dunque da chiedersi come possa davvero sfidare questa mole di iniziative verificabili, che stanno realmente plasmando l’azione e il volto della Chiesa, una «Testimonianza» basata su ricordi personali e interpretazioni di circostanze e fatti sui quali possono esistere versioni differenti, e come su questa struttura si faccia poggiare addirittura la richiesta di dimissioni rivolta da un vescovo a un Papa.

A Viganò tuttavia non sembra bastare neppure che Francesco abbia ottenuto l'uscita di un cardinale dal Sacro Collegio, un fatto senza precedenti nella storia della Chiesa. L’ex nunzio ora a riposo, nato a Varese nel 1941, oltre al Papa chiama infatti in causa come corresponsabili del mancato intervento per fermare il porporato americano tre segretari di Stato (Sodano, Bertone e Parolin) e uno stuolo di cardinali e vescovi protagonisti della Curia romana negli ultimi anni (Levada, Ouellet, Baldisseri, Filoni, Becciu, Lajolo, Mamberti, Coccopalmerio, O’Brien, Martino, Farrell, O’Malley, Maradiaga, Paglia, Ilson de Jesus Montanari...), tutti a diverso titolo collaboratori di Francesco. Un atto d’accusa che punta evidentemente a compromettere la credibilità degli uomini che il Papa si è scelto per affiancarlo nel governo della Chiesa.

Tanto che tra i motivi che avrebbero spinto monsignor Viganò – nunzio a Washington dal 2011 fino all’aprile 2016, tre mesi dopo il compimento dei 75 anni, età canonica della pensione – alla scelta dirompente di scrivere e dare diffusione sui media al suo memoriale potrebbero esserci attese frustrate per un incarico non ottenuto. Un’ipotesi avvalorata da un precedente altrettanto clamoroso: l’aspra lettera scritta dallo stesso Viganò all’allora segretario di Stato cardinale Bertone pochi mesi dopo l’invio come responsabile della Nunziatura negli Usa (riservata ma poi apparsa sulla stampa italiana nel gennaio 2012) con l’accusa di averlo di fatto allontanato dalla Curia romana, dov’era segretario del Governatorato, ritenendo a suo dire ingombrante la presenza a Roma di chi sarebbe stato a conoscenza di comportamenti più che censurabili da parte di alcuni prelati in posizioni di responsabilità.

Quali che siano l’origine e l’obiettivo del lungo e apparentemente circostanziato dossier, il Papa domenica ha ritenuto sufficiente ciò che si sa per formulare un giudizio sulla credibilità della denuncia e della conseguente, inaudita richiesta di lasciare il timone della Chiesa. Due, in particolare, i passaggi del dossier nei quali Viganò delegittima il Papa: le «sanzioni» che «nel 2009 o nel 2010», e comunque con «incredibile ritardo», Benedetto XVI una volta informato delle accuse sul conto dell’arcivescovo americano gli avrebbe inflitto riservatamente («lasciare il seminario in cui abitava», il divieto di «celebrare in pubblico, di partecipare a pubbliche riunioni, di dare conferenze, di viaggiare», «con obbligo di dedicarsi a una vita di preghiera e di penitenza»), provvedimenti che tuttavia McCarrick avrebbe ignorato; e la ricostruzione di un colloquio privato con Francesco che l’ex nunzio colloca il 23 giugno 2013, con la sua denuncia dei misfatti di McCarrick («Se chiede alla Congregazione per i vescovi c’è un dossier grande così su di lui») davanti alla quale il Papa non avrebbe fatto «il minimo commento».

E se risulta comunque poco credibile che Benedetto abbia accettato di essere disobbedito su disposizioni tanto stringenti, appare evidente il tentativo di opporre un Papa all’altro, secondo uno stile – se non un intento – divisivo che percorre tutto l’articolato e livoroso documento e caratterizza l’aggressiva retorica di una certa pubblicistica sempre più apertamente ostile al Pontefice. Una nuova, rumorosa tappa della strategia che sembra voler creare disorientamento e contrapposizione nella Chiesa pur con l’asserita intenzione di agire per il suo bene. Un comportamento che, per citare il Santo Padre, «parla da sé stesso».