Chiesa

Il viaggio in Usa. Il Papa a Ground Zero: luogo di morte, luogo di vita

Elena Molinari venerdì 25 settembre 2015
​Il Papa appoggia una rosa bianca sul marmo che reca incisi i nomi delle circa tremila persone perite nelle Torri gemelle. Poi si china, in preghiera, verso la gigantesca fontana quadrata che riempie le fondamenta di una delle due torri, dove l’acqua, scorrendo, «ci ricorda le lacrime di ieri, ma anche le lacrime che vengono versate ancora oggi». L’immensità della tragedia che si consumò 14 anni fa in quel luogo, prima noto come World Trade Center e ora con la drammatica espressione Ground zero, è palpabile e ha riempito il cuore di Francesco di emozioni. Il suo volto e le sue parole hanno riflettuto l’intensità di ogni gesto compiuto al memoriale dell’11 settembre.Appena arrivato, il Papa, accompagnato dall’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan, si è soffermato con le famiglie di alcuni dei primi soccorritori, sacrificatisi in servizio per salvare altre vite, e ha toccato le foto dei loro cari, facendo notare ancora una volta che «la distruzione non è mai impersonale, astratta o solo di cose; ma ha un volto e una storia, è concreta, possiede dei nomi. Nei familiari, si può vedere il volto del dolore, un dolore che ci lascia attoniti e grida al cielo». Ma non è un grido impotente. Invece spinge a rifiutare la «logica della violenza, dell’odio, della vendetta. Una logica che può produrre solo dolore, sofferenza, distruzione, lacrime».Il dolore del passato e quello del presente, nelle parole pronunciate poco dopo da Francesco in una sala sotterranea del memoriale, durante una preghiera multireligiosa, incarnano dunque un preciso richiamo: quello a respingere insieme «nelle diverse lingue, culture, religioni», «ogni tentativo di rendere uniformi». «Insieme – ha detto papa Bergoglio rivolgendosi a capi religiosi ebrei, musulmani, buddisti, indù e sikh, fra gli altri – oggi siamo invitati a dire: “no” ad ogni tentativo uniformante e “sì” ad una differenza accettata e riconciliata. Per questo scopo abbiamo bisogno di bandire i nostri sentimenti di odio, di vendetta, di rancore». Per piangere insieme, invece, l’ingiustizia, il fratricidio, «l’incapacità di risolvere le nostre differenze dialogando, la perdita ingiusta e gratuita di innocenti, il non poter trovare soluzioni per il bene comune». Poi ai 12 leader religiosi che si erano uniti a lui nel ricordo dell’11 settembre 2001, ha chiesto di pregare «ciascuno nella sua maniera, ma insieme», proponendo loro «di fare un momento di silenzio e preghiera» per chiedere al cielo «il dono di impegnarci per la causa della pace. Pace nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle nostre comunità. Pace in quei luoghi dove la guerra sembra non avere fine. Pace sui quei volti che non hanno conosciuto altro che dolore. Pace in questo vasto mondo che Dio ci ha dato come casa di tutti e per tutti. Soltanto, pace», perché «nelle differenze, nelle discrepanze è possibile vivere in un mondo di pace».Solo così al dolore si può associare la speranza, ha concluso Bergoglio, «che la nostra presenza qui sia un segno potente delle nostre volontà di condividere e riaffermare il desiderio di essere forze di riconciliazione, forze di pace e giustizia in questa comunità e in ogni parte del mondo. Così la vita dei nostri cari non sarà una vita che finirà nell’oblio, ma sarà presente ogni volta che lottiamo per essere profeti di ricostruzione, profeti di riconciliazione, profeti di pace».