Chiesa

Genova. Lavoro e dignità per i suoi figli: all'Ilva il Papa come un «semplice» prete

Paolo Viana, inviato a Genova sabato 27 maggio 2017

«Ma qualcuno si chiederà: cosa viene a dirci questo prete?» Non è basso profilo da palcoscenico, quello che usa papa Francesco
all’Ilva, e neanche la preoccupazione di replicare ai sofismi dubbiosi di quei cattolici che aggrotteranno le sopracciglia al sentirsi dire che la fabbrica è un luogo dove incontrare Cristo esattamente come la parrocchia. Non sono neanche gli applausi che salgono dalla distesa di caschi e tute blu, quando «questo prete» condanna l’imprenditore che licenzia e delocalizza e incita a «non svendere il lavoro».

Francesco oggi si è presentato nella fabbrica che è anche un simbolo del Novecento italiano nella veste del semplice prete che difende i suoi figli da un futuro incerto e lo fa con l’energia - a tratti la rabbia - di un padre. Cosa sia venuto a dare «questo prete» a Genova è il senso profondo di quella «attenzione» al mondo del lavoro che il cardinale Bagnasco ha consegnato in dono al Santo Padre nel salutarlo, una «vicinanza rispettosa e discreta» che è valsa alla Chiesa di Genova il titolo laico di “defensor civitatis”. Francesco ha regalato una pagina di magistero sociale del XXI secolo: ha rivendicato per i suoi figli lavoro e dignità con parole mai così esplicite e circostanziate, ha spiegato che avrebbe tracciato il «profilo dell’imprenditore» per tirare una linea rossa e dividere per sempre la buona economia e la speculazione che uccide, ha condannato i ricatti e lo sfruttamento dei giovani con la durezza del padre che vede la propria progenie spegnersi e ha fatto anche un po’ di catechesi, spiegando il legame tra lavoro e Creazione, tra lavoro ed Eucaristia, tra lavoro e preghiera.

Solo nel quadro di questa pedagogia economica, si capisce che le parole politicamente più impegnative del Papa sul reddito di
cittadinanza non vanno lette con le lenti della politica politicante ma con quelle della Storia e della Dottrina Sociale della Chiesa
. L’appello di Genova - «l’obiettivo non è il reddito per tutti ma il lavoro per tutti, perché solo così ci sarà dignità per tutti» e, nota bene, »dev’essere lavoro, non pensione, perché è contrario alla dignità dare un assegno e dire: arrangiati» - può sembrare in contraddizione con il messaggio di un Pontefice che ha fatto dell’accoglienza dei poveri una delle priorità, ma nella pedagogia del prete come nel magistero del Papa l’obiettivo resta sempre la dignità della persona umana, un valore che si tutela nell’offrire accoglienza al profugo e lavoro al giovane. Attraverso le lenti della Storia, che sono quelle del Cristianesimo, una democrazia che non offra lavoro ai giovani non sta in piedi e un’economia che si organizzi intorno al principio competitivo della meritocrazia, ha
spiegato il Papa, mina le proprie basi, in quanto ogni organizzazione umana si regge sulla fiducia, e produce una «legittimazione etica della diseguaglianza» che impedisce la coesione sociale.

Dall’Ilva, il Papa ha richiamato tutti, ed in primis la politica, a non giocare al ribasso, pensando di risolvere ogni problema con il reddito di cittadinanza e i prepensionamenti, ma quest’appello va ben oltre la cronaca politica, per quanto ne impegni i protagonisti, perché discende da una visione antropologica (e teologica) in cui l’uomo non può vivere senza lavoro, poiché solo il lavoro ci “unge” di dignità.