Chiesa

Padre Dalpiaz, camaldolese. «Sociologo e monaco, i miei due modi per cercare Dio»

Diego Andreatta giovedì 2 febbraio 2012
​Si è laureato in sociologia a Trento, la sua città, nel 1973. Due anni dopo si è fatto monaco a Camaldoli. «Quegli anni di formazione spirituale – ricorda padre Giovanni Dalpiaz, 65 anni, priore dell’eremo di San Giorgio a Bardolino sul Garda – furono per me come per altri studenti universitari l’incontro con il Concilio. Ovvero, incontro con la Parola di Dio, curiosità per la ricerca teologica, scoperta della "comunità", la cifra di quel periodo, che vuol dire creatività, fraternità, superamento delle rigidità gerarchiche, impegno nel sociale». Che cosa l’affascinò del carisma camaldolese? «All’inizio non fu la peculiarità "eremitica", ma la convinzione con cui ci s’impegnava nell’attuazione del Concilio appena concluso. Sotto la guida di padre Benedetto Calati, si tradusse in una spiritualità e in una preghiera monastica fondata sulla Lectio divina, nell’attuazione della riforma liturgica, nell’ospitalità a chi è in ricerca». Docente di sociologia a Verona e ricercatore dell’Osservatorio socioreligioso triveneto, padre Dalpiaz vede un raccordo tra la sapienza monastica e la pratica sociologica nel «conoscere con correttezza metodologica la società e su questi dati poi riflettere e giungere a contemplare, vedere in esso l’opera buona e salvifica di Dio. Ammetto che è esercizio non sempre facile da realizzare, ma il monastero ha ritmi e stili di vita certamente di aiuto per chi intenda "cercare Dio", centro della vita benedettina, nel tempo in cui la Provvidenza lo ha collocato». Nel dicembre scorso è arrivata anche la sua ordinazione sacerdotale, in cui Dalpiaz vede «una grazia vissuta con responsabilità». Continuerà a orientare e valutare la propria vita, per dirla con il tema di questa Giornata della vita consacrata, sull’agire di Gesù. «In tal senso si diviene suoi imitatori: è un lasciarsi condurre e farsi educare dalla Parola di Dio». Da sociologo, la preoccupa il calo delle vocazioni? «La prima risposta che mi viene alle labbra sono le parole di Paolo: "Vorrei che foste senza preoccupazioni". L’abbondanza delle vocazioni solo parzialmente può essere influenzata dall’azione degli Istituti religiosi ed è sempre difficile intendersi su cosa sia effettivamente la "qualità" della testimonianza evangelica. Possiamo invece chiederci: qual è il massimo di bene – in termini di vita di preghiera, testimonianza evangelica, carità… – oggi possibile con le risorse spirituali e umane presenti nelle comunità? Questa non è una preoccupazione, ma un impegno». Anche per i giovani? «Nelle comunità religiose possono trovare luoghi dove manifestare la loro sensibilità spirituale e porre domande che aspettano risposte diverse da quelle codificate dalla tradizione, ma non per questo meno esigenti e alte».