Chiesa

Mosca. Il metropolita Hilarion: ortodossi-cattolici, nuova stagione di dialogo

Riccardo Maccioni, inviato a Mosca lunedì 16 settembre 2019

Un ritratto di Hilarion (Riccardo Gallini / Meeting di Rimini)



Più di ogni altra cosa, ti colpisce il silenzio. Nella palazzina con la facciata verde pastello, tutto appare ovattato, soffuso, quasi rarefatto, persino i tacchi della scarpe sembrano non fare rumore. Un’atmosfera che ricorda quelle foto d’autore dove l’effetto “sfuocato” serve a mettere in risalto un volto, un luogo, un particolare. E qui al centro c’è la ricerca dell’unità, il desiderio di comunione, il cammino del dialogo, sia con la Chiesa cattolica sia a livello intraortodosso, in un clima oggi appesantito dalla questione ucraina.

Ma nell’incontro con la delegazione italiana in visita a Mosca, il metropolita Hilarion Alfeev accetta di andare oltre. Al piccolo gruppo, composto da don Manlio Sodi (presidente emerito della Pontificia Accademia di teologia), Giorgio Dazzi e dall’imprenditore-intellettuale Timur Timerbulatov, il vescovo di Volokolamsk e presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, racconta anche di sé, di una vocazione religiosa maturata sin da giovanissimo, di come non sia stato sempre tutto facile. «Ho preso la decisione di dedicarmi completamente alla Chiesa quando avevo 15 anni, ma ci pensavo sin dall’età di undici. Mia mamma l’ha presa bene, gli altri parenti no. Si era nell’epoca sovietica, con la Chiesa ghettizzata, per cui non ho reso pubblica la mia scelta. Sono diventato monaco e sacerdote nel 1987, quando niente faceva ipotizzare la rinascita ecclesiastica che invece sarebbe poi iniziata l’anno successivo, nel millesimo anniversario del Battesimo della Rus’. Posso dire di aver visto la Chiesa perseguitata e poi di aver partecipato alla sua rinascita, che continua ancora, in un modo che non ha precedenti. Qui non registriamo nessuna crisi di vocazioni, abbiamo tantissimi ragazzi che vogliono frequentare le Facoltà ecclesiastiche e monasteri con moltissimi monaci e monache giovani. Ringrazio il Signore perché ho potuto servire la Chiesa in un momento di ripresa così forte. Ma quand’avevo 15 anni niente faceva presupporre che le cose sarebbero andate in questo modo».
Nel servizio alla Chiesa di Hilarion l’ecumenismo ha sempre occupato un posto importante. Si potrebbe dire che il metropolita, 53 anni compiuti da poco, si sia occupato da sempre di relazioni tra cattolici e ortodossi. Basterebbe citare l’incarico nel segretariato per le relazioni intercristiane del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca o il ministero di vescovo di Vienna e d’Austria (2003-2009).

«Molto prima di esser stato assegnato alla sede di Vienna, ho avuto la possibilità di servire il mio Patriarcato nelle vesti di segretario per i Rapporti Interreligiosi. Poi, a cominciare dall’anno 2000, ho svolto il servizio di rappresentante della Chiesa ortodossa russa presso la Commissione mista internazionale per il dialogo fra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica. Incarichi che senza dubbio mi hanno reso protagonista attivo del confronto fra le nostre due Chiese. Anche durante questi ultimi dieci anni di presidenza del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato sono stati organizzati numerosi incontri ed eventi ecumenici. Io stesso ho avuto l’onore di essere ricevuto in Vaticano in più occasioni, quattro volte ho incontrato Benedetto XVI e ben sette papa Francesco. Senza dimenticare gli incontri con molti altri rappresentanti della Curia Romana. Non c’è dubbio che, grazie a tutto questo, io sia stato un testimone dell’andamento delle relazioni esterne del Patriarcato e quindi anche dei rapporti con la Chiesa cattolica».

Un cammino che ha conosciuto alti e bassi
Negli ultimi decenni le relazioni fra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica hanno avuto periodi di floridità e altri di gelo. Faccio un esempio: gli anni novanta e i primi del duemila sono stati di crisi a causa della restaurazione della Chiesa greco-cattolica ucraina la cui rinascita è stata accompagnata dall’espropriazione di chiese che prima appartenevano al Patriarcato di Mosca, oltre che da casi di proselitismo cattolico spinto, del quale sono stati vittime molti credenti ortodossi. Questa situazione è stata una delle maggiori cause del lungo silenzio che si è instaurato nelle relazioni fra le nostre due Chiese e nel dialogo teologico fra il mondo cattolico e quello ortodosso. L’elezione di Benedetto XVI al soglio di Pietro ha favorito una ripresa delle relazioni. Non bisogna dimenticare che Benedetto XVI, prima di diventare Papa, era stato un fautore della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico fra le nostre Chiese e conosceva molto bene il mondo ortodosso. Così nel 2005 si arrivò al rilancio del dialogo con una crescente convinzione da parte di entrambe le Chiese della necessità di far fronte comune contro le innumerevoli minacce di cui sono oggetto. Non si può infatti negare che la secolarizzazione, la crisi dell’istituto della famiglia e dei valori tradizionali, la persecuzione dei cristiani, la povertà e molto altro siano sfide che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa condividono. Più sono solidali tra di loro nell’affrontarle, più efficace sarà la battaglia della cristianità.


Oggi il cammino ecumenico cresce.
Negli ultimi anni la cooperazione fra le nostre Chiese è diventata più intensa, forte della comprensione e della fiducia reciproca che si è instaurata. Nel 2008, su iniziativa del Patriarcato di Mosca e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) è stato costituito il Forum europeo ortodosso-cattolico che riunisce rappresentanti delle Chiese locali (particolari) ortodosse ed esponenti della Chiesa cattolica, comunità che insieme stilano un’agenda comune per affrontare insieme i principali problemi sociali del momento. Si può dire che le relazioni bilaterali siano in continuo sviluppo, tanto in ambito culturale che sociale e accademico. Nel 2015 è stato fondato il Gruppo di coordinamento culturale fra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica grazie al quale sono stati raggiunti degli ottimi risultati. Stiamo anche portando avanti il progetto dei cosiddetti “Istituti estivi”, volto a far conoscere più da vicino a sacerdoti e seminaristi di entrambe le Chiese, tradizioni e peculiarità della controparte. E sono in forte crescita i nostri rapporti con le Conferenze episcopali di Italia e Germania. Senza dubbio, il culmine di questo percorso bilaterale è stato però l’incontro a L’Avana del febbraio 2016 tra i capi delle due Chiese, papa Francesco e il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill.

È corretto dire che si è avviata una stagione nuova?
L’incontro a L’Avana è stato senza dubbio storico. Per diversi motivi. Innanzitutto, come noto, si è trattato della prima volta fra i capi delle nostre Chiese, chiudendo così un lunghissimo capitolo delle relazioni reciproche per aprirne uno nuovo, pieno di prospettive e possibilità. Proprio grazie all’incontro di L’Avana oggi possiamo parlare di una nuova epoca di rapporti bilaterali e contatti interconfessionali. Sia durante l’incontro sia nella dichiarazione comune, il Papa ed il Patriarca hanno menzionato e discusso i temi principali che oggi compongono l’agenda del dialogo e della cooperazione tra le nostre Chiese. Non vi è alcun dubbio che l’evento di Cuba abbia lasciato un segno indelebile che influenzerà anche il futuro. E l’accordo firmato a L’Avana sta portando risultati che già si possono vedere. Parlo della cooperazione nell’aiuto ai cristiani del Medio Oriente, del pellegrinaggio delle sacre reliquie di san Nicola a Mosca e Pietroburgo e di molto altro ancora.

Tra i temi dell’evento di Cuba sancito dal documento comune, c’è la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, ma anche la centralità della famiglia fondata sul matrimonio e la difesa della vita. Argomenti che impegnano i cristiani alla testimonianza comune.
Proprio così, nella che di fronte a tali gravi problemi i cristiani sono chiamati alla riconciliazione e alla collaborazione. Ciò vale soprattutto per gli ortodossi e i cattolici che condividono la Sacra Tradizione del primo millennio. Il punto 7 della dichiarazione comune di L’Avana lo dice chiaramente: «(…) Vogliamo unire i nostri sforzi per testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio, rispondendo insieme alle sfide del mondo contemporaneo. Ortodossi e cattolici devono imparare a dare una concorde testimonianza alla verità in ambiti in cui questo è possibile e necessario». Dall’incontro di Cuba è inoltre nata un’ottima tradizione, quella di organizzare ogni anno nel giorno dell’anniversario una conferenza dedicata ad uno degli importantissimi temi enunciati nella Dichiarazione comune. La prima si è tenuta all’Università di Friburgo in Svizzera il 12 febbraio 2017 sulla testimonianza dei martiri delle due Chiese. Nel 2018 invece, presso l’arcivescovado ortodosso di Vienna l’appuntamento è stato dedicato alla difesa dei cristiani del Medio Oriente. Quest’anno, infine a Mosca il tema al centro della terza conferenza (organizzata assieme alla Pontificia Accademia per la vita) è stato il problema dell’eutanasia. Il prossimo incontro, su gentile invito del Vaticano, si terrà a Roma.

Parlando di crisi dei valori, il pensiero va anche e soprattutto all’Europa. Su quali problemi economici, sociali, o spirituali, c’è bisogno, se ce n’è bisogno di un’Unione forte?
Vorrei rispondere con un’altra domanda: che cosa si intende per Europa forte? A mio avviso, questa forza deve basarsi sui pilastri etici. Un’Europa forte è un’Europa non solo ricca economicamente ed indipendente politicamente, ma che ha anche un legame profondo con la sua tradizione cristiana in campo morale. Moltissimi dei problemi economici e sociali che ci si trova ad affrontare sono conseguenza della spropositata cupidigia coltivata dalla società consumistica. Avarizia, superbia e ingordigia degli uni portano alla sofferenza e alla povertà degli altri, oltre che a guerre, conflitti e problemi ecologici. E questo non fa che indebolire l’Europa. La Chiesa ortodossa si sta battendo per rafforzare il ruolo dell’etica nelle politiche economiche europee. Nella Lettera dei Primati delle Chiese ortodosse del 12 ottobre 2008 si legge: «Soltanto un’economia che combini l’efficienza con la giustizia e la solidarietà sociale può essere stabile e duratura». È mia opinione che in Europa economia e società debbano andare a braccetto con gli immutabili valori dell’etica tradizionale. Una società che possiede una solida base morale è automaticamente forte e stabile.

Tra chi rischia di pagare le conseguenze maggiori di questi squilibri, di questa povertà spirituale, ci sono indubbiamente i ragazzi. Il mondo giovanile è ovunque in grande fermento; come si cerca di offrire alle giovani generazioni il senso della fede? Parlare di "vocazione" oggi quali linguaggi può richiedere?
Come giustamente ha precisato, i giovani sono in una situazione di cambiamento continuo. Ma sappiamo bene che in tutte le epoche la gioventù si è distinta come parte molto dinamica della società umana, oltreché aperta al nuovo e curiosa di sapere. Il fatto che il modus vivendi e la cultura dei ragazzi di oggi siano diversi da quelli di una volta non deve spaventarci. Non dobbiamo dimenticare che anche i giovani del passato apparivano agli occhi delle generazioni più anziane irresponsabili, frivoli e addirittura arroganti. Ciò non significa che non si debba seguire l’atteggiamento della gioventù attuale, interrogandoci, ad esempio, se sia positivo o al contrario distruttivo e indifferente. La cosa più importante è comunque il posto occupato dalla fede nell’animo delle persone. Oggi, purtroppo, gli ideali trasmessi dalla cultura di massa non sono i più adatti alla crescita e alla salute spirituale dell’individuo. Io nel mio dialogo con i giovani cerco sempre di aprire loro la strada del servizio nella Chiesa, facendo perno sull’immagine di Cristo. Non tanto quella di un Cristo-eroe da romanzo, un Cristo-personaggio storico, un Cristo-fondatore di un pensiero religioso, quanto sull’immagine di un uomo-Dio, un uomo che ha continuato a vivere e servire nella propria Chiesa. Un Cristo vivo. La cosa migliore che secondo me possiamo offrire alla nostra gioventù è insegnare a vivere in Cristo, a leggere il Vangelo, a rendere parte della propria vita quotidiana l’insegnamento del Salvatore. Sono questi gli eterni compiti della Chiesa nei confronti dei giovani, che significa anche aiutarli a conoscere il bene, a coltivarlo e a difenderlo. Il Signore ci consenta di portare a termine questa importante missione! Dal suo successo dipende non solo il futuro della Chiesa, ma anche il benessere di tutta la comunità umana.

L’annuncio del Vangelo è la missione ed insieme la sfida per tutte le Chiese, in ogni tempo. Una chiamata che oggi, penso soprattutto all’Occidente, sembra diventata ancora più impegnativa.
Il contenuto della Buona Novella del Cristo risorto è rimasto uguale nel corso di due millenni. Ma, effettivamente, la spiegazione del suo significato all’uomo moderno è diventata la missione “storica” della Chiesa. All’alba del cristianesimo Ignazio l’Illuminatore scriveva: «Sii coinvolto nelle circostanze del tempo. Attendi Colui che è sopra il tempo». Da quando queste parole furono dette è passato molto tempo, ma il loro significato resta attuale. Il XX secolo ha lanciato al mondo e all’Europa in particolare nuove sfide: penso alle tante minacce verso la spiritualità cristiana e all’istituto della famiglia e del matrimonio, alla diffusione della pratica dell’aborto, all’avvento di tecniche biologiche che infrangono i principi del Vangelo, ai veri e propri “attacchi mediatici” (soprattutto via internet) che impediscono a una gioventù ancora non completamente formata spiritualmente di compiere giuste scelte etiche. Queste e molte altre sfide che ci riserva il nostro secolo esigono una forte risposta da parte dei cristiani. Tanto in Russia che in Italia, dove la tradizione cristiana viene ancora preservata, la Chiesa si trova ad affrontare problemi simili. È la nostra comune risolutezza a sconfiggerli che ci fa sentire così vicini. Io stesso ritengo di fondamentale importanza che i cristiani di tutta Europa si uniscano in nome della difesa di quei valori che sono sempre stati le colonne portanti della nostra vita cristiana. Auguriamoci che il futuro ci riservi moltissime possibilità di testimonianza della nostra fede!

L’Occidente sembra dimenticare le sue radici cristiane. Cosa possono fare le Chiese per evitare che smarrisca il senso di Dio?
Secondo le stime dell’istituto di ricerca Pew research center, l’Europa sarà prossimamente l’unica a veder diminuire cristiani, mentre in tutti gli altri continenti il loro numero sembra destinato a salire. Ciò non vuol dire che debba accadere per forza. Niente ci impedisce di combattere questa tendenza e di “ricristianizzare” l’Europa. In Russia e nell’area post-sovietica noi ci occupiamo di “ricristianizzazione” giorno e notte. Devo ammettere che i risultati ottenuti sono eccezionali. Se trent’anni fa la Chiesa ortodossa russa contava seimila parrocchie e venti monasteri, oggi il numero di parrocchie arriva a quarantamila ed i monasteri stanno per toccare il migliaio. Abbiamo aperto in media mille chiese l’anno, ovvero tre al giorno. Non esito a definire questo fenomeno una vera e propria rinascita della fede cristiana. Senza precedenti. E tutto questo è avvenuto nel cuore dell’Europa dell’Est! A mio avviso, l’indebolimento delle posizioni del cristianesimo in Europa è dovuto a tre tragici eventi che hanno segnato la nostra storia. Il primo: la divisione del mondo cristiano in Occidente ed Oriente con le conseguenti separazioni interne avvenute in Occidente. Il secondo: la secolarizzazione con la conseguente scomparsa degli Stati cristiani. Il terzo: la reazione. Invece di “cristianizzare” la società secolare, si è scelta la via dell’adattamento ai valori secolari. Soprattutto per quest’ultimo motivo il cristianesimo ha cessato di essere per la gente una fede viva, divenendo agli occhi di molti niente più che un patrimonio storico-culturale. Come abbiamo visto, la “scristianizzazione” in Europa è cominciata molto tempo fa manifestandosi in modo evidente nella mancata citazione dei valori cristiani nei diversi tentativi di stesura della Costituzione Europea. Nemmeno nel Preambolo è stata ammesso il loro richiamo. Nella società europea contemporanea c’è chi fa di tutto perché la religione sia tenuta alla larga dalla vita pubblica. Il risultato è che la società ha cominciato a considerare la fede come un fatto privato, esclusivamente personale. I sostenitori dell’ideologia secolare vogliono che le Chiese cessino di testimoniare il bene ed il male e che quelle stesse categorie diventino concetti del tutto relativi. Così l’Europa Occidentale, perdendo via via le proprie radici cristiane e la propria identità, si trova adesso a far fronte ad una grave crisi demografica e a una altrettanto grave crisi migratoria. Malgrado questo però ho fiducia nell’Europa e confido che riuscirà a liberarsi dalla fitta ragnatela del relativismo morale e spirituale che la imprigiona. Sono inoltre certo che Cristo Gesù non lascerà i Suoi fedeli senza aiuto e sostegno, perché «Lui ha vinto il mondo» (Giovanni 16, 25-33).

L’Europa, soprattutto l’Occidente, è alle prese con il dramma dell’immigrazione. Su questo tema, visto da Oriente, quale dev’essere la posizione comune delle Chiese?
Concordo con il fatto che quello dell’immigrazione sia un problema complesso che preoccupa molto i Paesi europei e comprendo anche i timori dei governi dei singoli Stati e dei cittadini che vedono nei grandi flussi migratori una potenziale minaccia. Innanzitutto, vi è la probabilità che, assieme ai rifugiati e a chi emigra per validi motivi, approdino in Europa terroristi ed estremisti. In secondo luogo, gli Stati europei devono fare i conti con lo scarso desiderio dei nuovi arrivati di integrarsi nella loro società ospitante. Tutto ciò è alimentato dalla loro tendenza a formare delle comunità etniche chiuse, che possono diventare delle enclave di mafie etniche e di criminalità, con l’insubordinazione alle leggi, agli usi e ai costumi vigenti nello Stato che li accoglie. Ma un altro grande problema che non posso non citare è legato alle potenziali mutazioni del panorama religioso europeo che rischiano di provocare gli afflussi migratori. La secolarizzazione del continente, la perdita dell’identità cristiana dei popoli europei, uniti agli afflussi di migranti di religione prevalentemente musulmana, causeranno la rottura dell’equilibrio religioso. Cosa possono fare le Chiese? Impiegare l’amore operoso per il prossimo e la fede in Dio, che da secoli sono le armi del cristianesimo. Ritengo dunque che siano lodevoli gli sforzi degli Stati europei impegnati ad offrire il proprio aiuto ai migranti e a favorire la loro integrazione nella società.

Tornando alla questione ecumenica l’incontro tra papa Francesco e Kirill è stato seguito da altri appuntamenti importanti. Penso alla visita a Mosca del segretario di Stato vaticano, il cardinale Parolin, al pellegrinaggio delle reliquie di san Nicola, al recente viaggio in Russia del clero di Roma guidato dal cardinale De Donatis...
Mi consenta di rispondere partendo dal penultimo evento che lei ha citato, in quanto cronologicamente precede gli altri. Si può anche dire che tanto la visita a Mosca del segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin come il pellegrinaggio in Russia del clero romano guidato dal cardinale De Donatis siano stati dirette conseguenze del pellegrinaggio in Russia delle sacre reliquie di san Nicola. Il pellegrinaggio a Mosca e Pietroburgo del santo più venerato ed amato in Russia è stato senza dubbio un evento storico. Non solo per il nostro Paese ma anche per molti altri Stati e popoli. A proporre che le reliquie del santo lasciassero temporaneamente la cripta della Basilica di san Nicola a Bari per recarsi in Russia, dove, sotto la salvaguardia della Chiesa ortodossa russa, milioni di credenti avrebbero potuto venerarle e prostrarsi di fronte a loro, è stato papa Francesco, durante il suo incontro con il Patriarca di Mosca a L’Avana. Soltanto il Papa avrebbe potuto prendere una tale decisione. Gli siamo grati per questo gesto di fratellanza. Un grande aiuto nell’organizzazione di questo storico evento è stato dato anche dall’arcivescovo di Bari-Bitonto Francesco Cacucci che ha accompagnato il sarcofago con le reliquie durante il viaggio da Bari a Mosca e da Pietroburgo a Bari.

La partecipazione popolare è stata impressionante.
In due mesi di pellegrinaggio sono riusciti ad inchinarsi davanti alle sacre reliquie circa due milioni e trecentomila fedeli provenienti da Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldova e altri Paesi. Oltre quattordicimila volontari hanno aiutato i pellegrini. Abbiamo anche sentito un grande supporto da parte delle autorità. Come ha detto il patriarca Kirill, la venuta delle reliquie di san Nicola in Russia, dov’è così venerato ed amato, nell’anno del primo centenario della rivoluzione del 1917, è stato un gesto di grande grazia del Signore e di grande amore del Taumaturgo nei confronti del nostro Paese. Si può dire che niente abbiano fatto secoli di diplomazia ecclesiastica per le relazioni fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa in confronto rispetto ai due mesi di pellegrinaggio delle reliquie di san Nicola Taumaturgo in Russia dove tutti sapevano che ciò era stato possibile grazie al comune accordo fra il Papa ed il Patriarca. Subito dopo, l’arrivo a Mosca del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin ha segnato un altro momento importante per le relazioni fra le due Chiese. È stata la prima visita ufficiale di un segretario di Stato Vaticano in Russia, avvenuta su invito del governo di Mosca (le visite dei cardinali Casaroli e Sodano nel 1988 e 1999 erano state informali). Gli incontri del cardinale Parolin con il Patriarca di Mosca Kirill e il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin hanno dimostrato la solida fiducia reciproca che si è instaurata nei rapporti della Santa Sede sia con il Patriarcato di Mosca, sia con la Federazione Russa. Su tutti i punti discussi durante gli incontri, le due parti hanno esposto un’opinione comune, soprattutto per quanto riguarda i cristiani in Medio Oriente.

Il terzo momento risale alla primavera scorsa.
Il pellegrinaggio di un numeroso gruppo di membri del clero di Roma guidato dal cardinale vicario Angelo De Donatis è stato a sua volta un evento eccezionale. I partecipanti hanno visitato numerosi luoghi ed oggetti sacri della Chiesa ortodossa russa e hanno avuto l’opportunità di conoscere più da vicino l’ortodossia russa contemporanea. L’importanza di questi incontri è stata sottolineata dal Patriarca di Mosca Kirill durante la liturgia della Settimana <+CORSIVO50>in albis<+TONDO50> (Ottava di Pasqua) presso il monastero della Trinità di San Sergio, dove ha ricevuto la delegazione romana. Eventi come il pellegrinaggio delle reliquie di san Nicola e la visita del clero romano sono un ottimo esempio di quell’eredità spirituale che ortodossi e cattolici condividono, nonostante tutte le loro differenze. Prego affinché le preghiere dei nostri comuni santi possano per grazia di Dio portare all’estinzione delle diversità che ci separano.

Visto da Occidente, se il dialogo con la Chiesa cattolica cresce, quello intraortodosso sembra segnare il passo. La questione ucraina pare aver aumentato le distanze tra Mosca e Costantinopoli con la sancita rottura della comunione sacramentale. Lei ha usato parole molto dure verso il Patriarca Bartolomeo.
Le azioni del Patriarcato di Costantinopoli, purtroppo, hanno fortemente minacciato l’unità all’interno del mondo cristiano ortodosso. In questa situazione, molto difficile, il dialogo intraortodosso diventa un nostro obiettivo prioritario. Questo pensiero è condiviso da numerose Chiese locali. Purtroppo, ciò non è condiviso o non vuol essere condiviso da Costantinopoli. Per motivi che noi non riusciamo bene a comprendere, il Patriarca Bartolomeo schiva il dialogo con coloro che formano assieme a lui una comune famiglia ortodossa, mantenendo invece relazioni con altre confessioni cristiane. Alle numerose proposte da parte nostra di discutere e risolvere il problema dello scisma della Chiesa in Ucraina per mezzo di un’assemblea comune, ha risposto con un deciso rifiuto. E oggi proprio per la decisione di appoggiare lo scisma, il Patriarca Bartolomeo si trova in uno stato di isolamento. Nessuna delle Chiese locali, infatti, ha riconosciuto il “Tomos” di autocefalia, consegnato dal Patriarca Bartolomeo a coloro che si fanno chiamare “Chiesa ortodossa ucraina”, mentre tutte le Chiese locali rimangono in comunione eucaristica con la Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca (che riunisce in sé tutti i cristiani ortodossi di Ucraina).

La questione ucraina ha riproposto anche il tema dei rapporti tra potere politico e religione. La vita delle Chiese può diventare strumento della lotta di supremazia?
Senza dubbio l’Ucraina è divenuta un teatro di violenti assalti a luoghi di culto della Chiesa ortodossa canonica e di innumerevoli interventi forzati dello Stato e di alcuni esponenti politici negli affari interni ecclesiali. Noi crediamo che la Chiesa non possa essere strumentalizzata politicamente per il raggiungimento di obiettivi personali ma debba avere completa libertà ed autonomia decisionale senza dipendere né dalle autorità, né dai politici. Il principio di non ingerenza in questo caso è fondamentale. Noi non sosteniamo alcun partito, e loro non devono intromettersi nei nostri affari interni. Ciò non toglie che i nostri fedeli, i membri della nostra comunità, in quanto cittadini possano professare qualsiasi credo politico. Se in uno Stato si inaspriscono conflitti e disaccordi politici, la Chiesa deve richiamare tutti i suoi fedeli, indipendentemente dalle fazioni di cui fanno parte, alla pace e alla cooperazione, cercando così di evitare il ricorso alla violenza tra loro. 

I mezzi di informazione anche in Occidente segnalano spesso la vicinanza tra il Patriarca Kirill e il presidente Putin. Cosa risponde a chi parla di rapporti troppo stretti tra il Cremlino e il Patriarcato di Mosca?
Nella Russia di oggi fra la Chiesa e lo Stato si sono instaurate delle relazioni uniche fondate su due fondamentali principi. Il primo è quello di non ingerenza, secondo cui lo Stato e la Chiesa non si intromettono negli affari interni l’uno e dell’altro. Il secondo è il principio di collaborazione laddove ciò è possibile e negli ambiti in cui va a vantaggio della gente. Ce ne sono molti: la salvaguardia della pace, la protezione dell’etica sociale, l’attività caritativa, la protezione dei più deboli, la scienza, la cultura, l’arte e tanti altri. A mio avviso, questa partnership fra Chiesa e Stato sta portando dei buoni frutti, come il miglioramento della condizione di vita della gente e l’aiuto a coloro che ne hanno bisogno. Per questo la vicinanza che lei ha ricordato è del tutto logica. Non bisogna però dimenticare che il Patriarca ed il Presidente sono due figure distinte che governano due istituzioni distinte. 

Abbiamo parlato a lungo della crisi della fede. Si sente anche tra i cristiani d’Oriente?
Negli ultimi trent’anni la Chiesa ortodossa russa ha lavorato senza lesinare fatiche per far risorgere nel suo popolo il senso della fede. Il crollo del regime ateo ha sancito l’inizio di quest’epoca di riscoperta religiosa che viviamo oggi. Come detto gli anni passati hanno visto il moltiplicarsi di parrocchie, monasteri e eparchie. I numeri citati prima sono assai eloquenti. Vengono alle nostre chiese fedeli di tutte le età, di ogni ceto sociale e opinione politica. La Chiesa riempie di significato spirituale la vita di tutte le genti. Perché cambia le persone, ed esse a loro volta cambiano in meglio la realtà che le circonda. 


Ha collaborato Manlio Sodi
Traduzione dal russo di Raffaello L.Cecioni