Chiesa

Dichiarazione conciliare . Ecco cosa dice la "Nostra Aetate" sulle "religioni non cristiane"

Riccardo Maccioni mercoledì 28 ottobre 2015
Si intitola Nostra Aetate la dichiarazione conciliare su "Le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane" approvata e promulgata il 28 ottobre 1965 dal Vaticano II. Su 2132 votanti, i sì o "placet" dei padri conciliari furono 2041, 88 i non placet, 3 i voti nulli. Il testo si compone di un’introduzione e quattro punti: "Le diverse religioni"; "La religione musulmana"; "La religione ebraica"; "Fraternità universale". In particolare, nel rapporto con le altre fedi, il documento mentre ribadisce che Cristo «è "via, verità e vita" (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose», sottolinea che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle altre religioni riconosciute come tali. «Essa – aggiunge – considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». Due invece le sottolineature nelle relazioni con l’ebraismo: sì definitivo alle radici ebraiche del cristianesimo, no irrevocabile all’antisemitismo. La Chiesa infatti – recita Nostra Aetate – «crede che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso». E ancora: se è vero come attesta la Sacra Scrittura, che Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata e gli ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, tuttavia «gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento». Infine, malgrado autorità ebraiche con i propri seguaci si siano adoperate per la morte di Cristo, «tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo». E anzi, essendo «tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei» il Concilio «vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo».