Chiesa

Natale dalla clausura. La badessa: «Nella notte del mondo la speranza è in una culla»

Paolo Usellini, Novara venerdì 25 dicembre 2020

L’isola di San Giulio, nel lago d’Orta, con il monastero benedettino “Mater Ecclesiae”

La pandemia vista dalla clausura. Parla madre Girolimetto, badessa del monastero “Mater Ecclesiae” sull’isola di San Giulio «Il tempo di Avvento ci viene offerto per ritrovare la via dei desideri e delle attese che contano» Novara «Molte volte la liturgia dell’Avvento ci fa cantare le parole del profeta Isaia: “Consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”. E sono tanti e accorati gli appelli che quotidianamente riceviamo da persone, ma anche intere famiglie prostrate dal dolore in questo tempo di prova a causa del Covid ». Madre Maria Grazia Girolimetto, badessa del monastero benedettino “Mater Ecclesiae” sull’isola di San Giulio, al centro del lago d’Orta in Piemonte, e fondato nel 1973 da madre Anna Maria Cànopi, parla della pandemia vista dalla clausura. La religiosa, 58 anni, originaria di un paese della Brianza e laureata in pedagogia, ha deciso a 26 anni di entrare in questo monastero. Una scelta che rifarebbe ancora oggi «perché solo nel luogo dove è riposta la propria vita si può trovare pienezza e felicità ». E aggiunge: «Sa cosa ci chiede oggi la gente? Preghiera, sì. Ma soprattutto conforto, speranza. Sì, c’è tanto bisogno di ritrovare speranza».

Il tempo di Avvento che si sta concludendo è segnato dall’attesa.
È un grande richiamo a non ripiegarci su noi stessi, ad alzare il capo, come ci invita a fare la Parola di Dio, per andare incontro al Signore Gesù che vie- ne in mezzo al suo popolo, che viene a salvarci dalle nostre paure, chiusure, disperazioni. Come cristiani, siamo chiamati a interrogarci sulla qualità della nostra attesa e della nostra fede. Lo aspettiamo veramente? Questo tempo ci viene offerto dalla Chiesa per ritrovare la via dei grandi desideri e delle attese che contano. Desideriamo che l’incontro con il Signore trasformi la nostra vita? Il Signore, infatti, ancora una volta bussa alla porta del nostro cuore, bussa per essere accolto per portarci il suo amore, la sua promessa di vita; non entra violentemente, non è uno scassinatore delle porte del cuore, ma chiede il permesso e noi dobbiamo essere attenti e pronti ad accoglierlo.

Come accogliere il Salvatore che viene a Natale?
Occorre fare spazio nei nostri cuori alla speranza. E guardare alla culla di Gesù. La Parola di Dio ci aiuta a ritrovare il senso del nostro vivere e anche del nostro morire. Rileggiamo quanto san Paolo scriveva nella Lettera ai Romani: «Ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza». Paradossalmente l’apostolo ci scuote esortandoci perfino a vantarci nella prova, perché «la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». Mi sembra che tutto questo sia un pressante invito a trovare una robustezza di fede che renda i cristiani lievito nella storia. L’ascolto comune della Parola che la liturgia ci propone, il senso di appartenenza al Corpo di Cristo, che è la Chiesa, è un invito a trasformare questo momento di grande prova in una risorsa per tutti i fratelli in umanità.

Come scrive papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”…
Non è certamente un caso che in un tempo così desolato ci sia stato offerto questo documento per rimettere a fuoco il compito a cui siamo chiamati come cristiani in un mondo che va ben oltre i nostri ristretti confini e ci sollecita ad allargare l’orizzonte fino ad accogliere ogni uomo. La “forzata” chiusura può essere un’occasione speciale per riscoprire e vivere la dimensione di un approfondimento della propria interiorità. Nonostante tutto, Gesù viene, e con Lui viene la gioia, fiorisce la pace, rinasce la speranza. Tutti quei convogli carichi di bare – immagini che si sono stampate ormai nei nostri cuori – e che hanno portato con sé la desolazione di tante dolorose separazioni avvolte nell’anonimato ci chiedono di non lasciare che l’ultima parola sia la loro. Abbiamo bisogno di sentirci ripetere che il Verbo eterno di Dio viene ad abitare il nostro dolore, viene a bussare alle nostre porte perché ha bisogno di calore, di accoglienza, di braccia capaci di stringere la sua debolezza, perché diventi la nostra forza.

Al riguardo so che lei ha vivo un ricordo...
Sì. Quando il vescovo Del Monte ci aveva chiamate a venire qui nella diocesi di Novara, aveva proprio invitato ad essere «vigilanti nel crepuscolo e profeti dell’aurora che ci attende». Mai come oggi la notte sembra essere scesa sul mondo, ma «perché perdere tempo a lamentarci della notte, mentre ci aspetta la luce del giorno?», dice papa Francesco. Paure, sospetti, incertezze sembrano avvolgere il mondo in una notte mai vista, ma noi ci ostiniamo a vegliare in preghiera, e a scrutare verso Oriente i tenui bagliori che annunciano il suo dischiudersi alla luce che viene e già tinge con i colori della speranza l’orizzonte, come tante volte avviene sul nostro bel lago.