Chiesa

Il commento. Nel Vaticano II il nuovo inizio della dottrina sociale della Chiesa

Giorgio Campanini sabato 11 luglio 2009
Un importante aspetto della Caritas in veritate, fin qui non adeguatamente considerato dai pur ricchi ed articolati commen­ti di cui l’enciclica è stata fatta og­getto, è quella sorta di « ricentra­mento » che essa opera in ordine al­la dottrina sociale della Chiesa. Co­me ben noto, a lungo il magistero so­ciale ha fatto riferimento alla Rerum novarum di Leone XIII e ne ha ricor­rentemente celebrato i più impor­tanti anniversari, dalla Quadragesi­mo anno di Pio XI al radiomessaggio del 1941 di Pio XI, dalla Mater et ma­gistra di Giovanni XXIII (1961) alla Octogesima adveniens di Paolo VI (1981). Con la Caritas in veritate av­viene un ulteriore ricentramento, e­merge un nuovo punto di vista, rap­presentato non più dalla Rerum no­varum ma dal Concilio Vaticano II. È lo stesso Benedetto XVI, infatti, – prendendo lo spunto per l’avvio del suo discorso dalla Populorum pro­gressio – a sottolineare come questa enciclica sia strettamente connessa con il messaggio del Concilio Vatica­no II. Tale legame «non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio co­stituisce un approfondimento di ta­le magistero nella continuità della vita della Chiesa» (n. 12). E tuttavia viene meno, di fatto, il quasi rituale riferimento alla Rerum novarum e viene avviato una sorta di «nuovo i­nizio », quello appunto rappresenta­to dal Vaticano II, poi continuamen­te richiamato nel testo della nuova enciclica. Non si tratta in alcun mo­do di una «sconfessione» della pre­cedente impostazione, ma la Rerum novarum, come gran parte del suc­cessivo magistero della Chiesa, ri­sentiva di un approccio che avrebbe voluto essere universalistico ma era in realtà «occidentalistico». Il fatto che di questo « nuovo corso » della dottrina sociale della Chiesa venga assunto a simbolo la Populorum pro­gressio e che di essa ( non più del­l’enciclica leoniana) sia stato volu­tamente celebrato dapprima il 20° ( Sollicitudo rei socialis) e poi il 40°, con la Caritas in veritate , sta a signi­ficare questo importante mutamen­to di prospettiva, che trova le sue ra­dici nell’avvenimento conciliare. Senza mettere nel dimenticatoio u­na ricca stagione di riflessione idea­le e di impegno operativo dei catto­lici – quella, appunto, cui la Rerum novarum ha dato impulso – una nuo­va stagione si apre ora, nei nuovi sce­nari della globalizzazione ampia­mente esplorati in questa enciclica di Benedetto XVI. Al centro di questa nuova prospettiva sta ormai non tan­to la «questione sociale« quanto la « questione antropologica » , il pro­blema, cioè, di dare una risposta ra­pida ed insieme convincente ai pro­blemi dell’uomo, a partire da una più equa distribuzione dei beni della ter­ra come espressione di quella emi­nente carità – operosa e fattiva, ca­pace di incidere non soltanto sulle coscienze ma anche sulle strutture – che è il nucleo centrale del messag­gio cristiano. Non è soltanto la dura realtà delle cose ma soprattutto l’a­scolto umile e paziente della Parola – come mette in evidenza Benedet­to XVI in una serie di importanti pas­saggi della sua enciclica – che legit­tima e fonda l’impegno dei credenti nella storia. Nel loro agire il magi­stero del Concilio Vaticano II assu­me un significato determinante, so­prattutto per la lettura che, in parti­colare nella Gaudium et Spes , esso ha fatto dei «segni dei tempi». Anche la globalizzazione è uno di questi «segni»: spetta ai credenti coglierne appieno le potenzialità umanizzan­ti, in spirito di collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà. Un’immagine del Concilio Vaticano II