Chiesa

Il cantante. Nek: «La mia fede rinata dal dialogo con i sacerdoti»

Angela Calvini giovedì 9 novembre 2023

Filippo Neviani, in arte Nek, 51 anni e non sentirli, ha appena festeggiato i 30 anni di carriera con un album e una tournée trionfale insieme all’amico e collega Francesco Renga. E, anche in questo caso, il cantautore emiliano ha portato al pubblico tutta la gioia e la positività che gli derivano anche dalla fede e dall’appartenenza alla famiglia della Comunità Nuovi Orizzonti. Nek rivela ad "Avvenire" il ruolo che hanno avuto, ed hanno, i sacerdoti nel suo percorso umano e spirituale.​

Nek, c’è stato un sacerdote, o dei sacerdoti, che le hanno cambiato la vita?

Senza alcun dubbio. Innanzitutto da ragazzino ci sono stati sacerdoti importanti per la mia formazione. Io sono cresciuto all’oratorio, facevo parte del coro della parrocchia di San Giorgio a Sassuolo. Negli anni ‘80 suonavo anche la chitarra, c’erano le Messe rock e io facevo parte dell’animazione. C’erano dei sacerdoti di passaggio che erano trascinatori di folle, dei pescatori di uomini, entusiasti del loro ministero. Certo, c’erano anche i confratelli più anziani, più austeri e più legati alla forma. I sacerdoti più giovani, che insegnavano nei campi scuola e ci portavano in giro, erano più vicini ai ragazzi. L’oratorio era un posto molto ricco di esperienze e ricordo in particolare don Ercole Magnani, che era Ercole di nome e di fatto dato che era enorme. Era un leader, un vero tramite tra Gesù e i fedeli.

E crescendo lei ha avuto altri incontri importanti con sacerdoti speciali?

Quando si diventa grandi si vive la fede in modo diverso. Il sacerdote che è più vicino al mio cuore è don Davide Banzato (che è anche scrittore e conduttore televisivo de I viaggi del cuore la domenica mattina su Canale 5, ndr), con lui ho condiviso tantissimi momenti nella Comunità Nuovi Orizzonti di cui faccio parte. Momenti facili e non facili, che mi hanno fatto conoscere l’uomo e non solo il pastore. Abbiamo fatto dei viaggi insieme, delle esperienze attraverso le povertà del mondo. Ricorderò tutta la vita il viaggio in una favela nel nord est del Brasile: ho toccato con mano quello che don Davide fa. Dagli incontri per la strada alle iniziative per cercare di avvicinare i più emarginati. Ecco lì tocchi con mano la chiamata di un sacerdote. È un compito estremamente complicato, che porta via tempo, energia e fisica e mentale: devi essere un innamorato di Dio. È impossibile non subire il fascino di Gesù attraverso quello che fa.

Purtroppo il bene fatto da tanti sacerdoti passa sotto silenzio sui mass media…

In questo mondo fa notizia il negativo, al positivo siamo indifferenti e non diamo importanza a quanto una parola di un sacerdote possa essere fondamentale. Nessuno pensa a quanto sono soli i sacerdoti? Sono esseri umani come noi: a parte la fede che li sostiene, del loro equilibrio psicologico chi se ne occupa? Ci deve essere una collaborazione tra i fedeli e il sacerdote: se il pastore indica la strada, la pecora la deve percorrere. Deve esserci uno scambio reciproco. Un sacerdote può avere delle difficoltà. Anche Gesù Cristo prima di salire al patibolo, ha avuto un momento di sconforto e ha chiesto al Padre di allontanare da lui il calice.

A volte è difficile fare capire a cosa serve il sostentamento dei sacerdoti.

Dare una mano ai sacerdoti è come dare una mano a noi stessi. Noi siamo preoccupati per la nostra salute fisica, ma per la salute dell’anima? Da un sacerdote vai oltreché per tener fede ai sacramenti anche per confidarti, la confessione diventa anche questo. E quante parole di conforto regalano alle persone emarginate e sole? Loro si fanno carico anche dei problemi degli altri. Il problema è che non si approfondisce, c’è l’idea che il sacerdote è quello che resta arroccato là in cima, sull’altare, lontano dalla vita quotidiana. Invece il sacerdote è quasi uno psicologo: tanti problemi arrivano da un animo inquieto.

Lei cosa ha imparato dal suo rapporto con i sacerdoti?

Ho imparato che le cose materiali sono finite, ma la fede non è finita. La fede non ti risolverà i problemi, ma ti aiuta a sopportare i carichi, ad accettare le situazioni difficili e il dolore. Ho avuto diverse persone care che si sono ammalate e sono volate in cielo, ma proprio durante la malattia hanno acquisito il dono della fede e hanno vissuto negli ultimi periodi la vita vera che avrebbero voluto vivere anche prima. Ho conosciuto molte più cose di Dio di quelle che avevo sentito dire.

Dagli altari di tante chiese si levano anche discorsi di pace in questi giorni drammatici di guerra.

Il punto centrale è sempre uno: se io ti accetto per come sei, significa che ti amo per come sei fatto. Noi dobbiamo accettarci e accettare chi abbiamo di fronte. Dio ci ama per come siamo, non per come vorrebbe che noi fossimo. Ho toccato con mano, persone che da amanti della morte sono diventate amanti della vita e grazie al fatto che qualcuno li amasse per come erano. Il cristianesimo non è un credo che ti condanna, ma ti dice che puoi rimediare. Questa è una grande verità: è la speranza.