Chiesa

Epifanyj eletto primate. Nasce la nuova Chiesa ucraina autocefala

Andrea Galli martedì 18 dicembre 2018

A Kiev il Concilio di unificazione ha sancito la nascita della nuova Chiesa ortodossa indipendente (Ansa)

Se è vero che la Chiesa si muove solitamente su tempi ben più lenti del mondo, è altrettanto vero che può conoscere accelerazioni impreviste e traumatiche. Quello che è avvenuto negli ultimi mesi nell’ortodossia ne è un esempio preclaro. Sabato scorso, con il “Concilio di unificazione” tenutosi a Kiev, è nata ufficialmente la Chiesa ucraina autocefala, cioè indipendente, che si pone di fronte al mondo come la Chiesa ortodossa nazionale ucraina, superando la tripartizione che vigeva nell’Ortodossia del Paese: una Chiesa guidata dal metropolita Onufrij (Berezovskij) sotto la giurisdizione del patriarcato di Mosca e due Chiese fino a ieri scismatiche, non riconosciute da nessuno: una fondata nel 1995 dall’autoproclamatosi patriarca Filaret (Denisenko) e una fondata nel 1991 dal vescovo Makarij (Maletic). In realtà sono solo queste due ultime Chiese a essere confluite in quella nuova, mentre la Chiesa legata a Mosca ha strenuamente rifiutato il processo di unificazione, ritrovandosi ora in una posizione estremamente delicata.

Il nuovo primate della Chiesa ucraina autocefala è il giovanissimo Epifanyj (Dumenko), 39enne, già braccio destro del sedicente “patriarca” Filaret, nato in una famiglia di operai nella regione di Odessa. Un’elezione la sua avvenuta nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev, alla presenza del presidente ucraino Petro Poroshenko, che fino all’ultimo ha voluto esibire il suo ruolo di padre laico di questa unificazione, presentando alla folla la nuova Chiesa come «senza Putin e senza Kirill», riferendosi al patriarca di Mosca. Epifaniy il 6 gennaio si recherà a Istanbul per ricevere dalle mani del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo il “tomos” dell’autocefalia, ovvero l’atto supremo che sancisce l’indipendenza ecclesiale e anche i termini dei rapporti con la Chiesa madre, che ora sarà Costantinopoli non più Mosca.

I giochi allora saranno formalmente compiuti, ma inizierà una partita complessa e ad alta tensione su un fronte sia interno che esterno. Quello interno: quante delle parrocchie che fino a oggi facevano parte della Chiesa ortodossa “moscovita” accetteranno di passare alla nuova Chiesa autocefala? Cosa accadrà ai fedeli delle singole parrocchie che non accetteranno questo passaggio?

E quali saranno le pressioni che verranno esercitate, quali scontri nasceranno? Un assaggio si è avuto giorni fa – come ha documentato uno dei più attenti osservatori di tali dinamiche in Italia, Vladimir Rozanskij su AsiaNews – con un tafferuglio nella chiesa dell’Assunzione del villaggio di Vinjatnitsy, nella regione di Ternopol, tra l’arcivescovo della Chiesa ucraina autocefala Tikhon (Petranjuk) da una parte e il parroco e i fedeli dall’altra, decisi a rimanere con Mosca: costoro hanno strappato il pastorale dalle mani del vescovo facendolo a pezzi.

Sul fronte esterno Mosca ha rotto la comunione con Costantinopoli, dichiarando il patriarcato ecumenico niente meno che scismatico. Chi seguirà chi, tra le altre Chiese ortodosse? Fino a oggi è regnato un innaturale silenzio, con dichiarazioni a favore del patriarcato di Mosca da parte delle Chiese storicamente ad esso più vicine, ma senza decisioni concrete. Ed è stato il metropolita Ilarion (Alfeyev), capo del dipartimento delle relazioni esterne del patriarcato di Mosca, a sottolineare che nessuna Chiesa ortodossa ha mandato messaggi al Concilio di Kiev.

Inoltre Mosca ha sollevato con veemenza un quesito teologico ed ecclesiologico – quali sono i reali poteri del patriarcato ecumenico nel concedere l’autocefalia e non solo – che non potrà rimanere a lungo senza risposte anche dalle altre Chiese. Intanto Epifanyj, nella sua prima Divina liturgia celebrata come primate d’Ucraina, domenica scorsa a Kiev, nel commemorare i nomi degli altri primati e patriarchi ortodossi non ha citato il nome di Kirill. Un messaggio chiaro di “non comunione” che sembra rendere questo Natale ortodosso foriero più di divisioni che di pace.