Chiesa

Treviso. Addio a don Pavanello, pioniere del volontariato a fianco ai disabili

Francesco Dal Mas martedì 16 agosto 2016
«Mai lavarsi la coscienza dando un euro al povero», disse quando compì 90 anni. «Ma chiedersi cosa posso fare, nel mio piccolo perché non ci sia più povertà e mettersi in gioco. Ribellandosi alla stupidità, al falso, al convenzionale. Serve passione per la verità e l’autenticità». Treviso piange monsignor Fernando Pavanello, morto a 97 anni. Ma si sente anche fortunata per averlo avuto in dono come sacerdote, parroco, direttore della Caritas, pioniere del volontariato, dell’impegno per disabili e malati di mente. La sua più grande soddisfazione è stata recente: l’approvazione della legge sul "Dopo di noi" che aveva immaginato ancora decenni fa, sfidando tutti con l’edificazione di alloggi per le comunità famiglia, bussando a ogni porta. Uno dei canti alla Madonna che preferiva era "Andrò a vederla un dì..." e proprio nel giorno dell’Assunta - ricorda il suo amico Remo Cattarin, che ogni giorno gli faceva visita con la moglie -, alle prime luci del mattino, don Fernando ha raggiunto la casa del Padre. Nativo di Camposampiero, raccontava le vicissitudini di gioventù, l’ostilità che incontrò nel padre nel voler farsi prete. E poi le esperienze a Roma, alla Gregoriana, dove si laureò in filosofia diventando poi professore al seminario di Treviso. Uomo dalle idee innovative, talvolta non condivise dai superiori, venne inviato a Verona come rettore del seminario per l’America Latina, servizio che gli consentì di farsi amico dom Helder Camara. «Mio nipote Luca è nato down – così spiegava il suo impegno per i disabili –. Allora nelle famiglie scattava la colpa, la coscienza di una sorta di castigo di Dio, la vergogna, la rassegnazione. Un piccolo gruppo di persone sensibili, credenti e non, si è attivato, abbiamo creato l’associazione delle famiglie: ci hanno aiutati il sindacato e un Dc sensibile come Armellin. Abbiamo girato, bussato alle porte. Ma non in un’ottica caritativa. Il secondo passaggio dev’essere sociale: chi non ha diritti deve prendere coscienza, diventare soggetto politico in senso alto e chiedere alla democrazia di rimuovere l’emarginazione, la diseguaglianza e dare opportunità. Abbiamo creato 5 case: lavorano, fanno le ferie, si integrano». Era il 2009. Per le sue posizioni Pavanello ha dovuto fare i conti con l’accusa di "prete rosso". «Mai avuto bisogno di Marx – rispondeva – ho il Vangelo. La mia non è mai stata una fede facile, vengo da famiglia agiata, papà e zio anticlericali. In Cile, nel 1964, ho visto contadini scalzi in fila dal latifondista che regalava il pane e gli baciavano le mani. Quella non è carità, quel pane è dovuto per giustizia sociale. La Chiesa dovrebbe andare oltre certe dichiarazioni belle di principio e gridare. Ci siamo fatti espropriare, i profeti hanno sempre gridato contro chi abusa del debole». «Don Fernando è uno che dice cose importanti – ha detto di lui l’arcivescovo Gianfranco Agostino Gardin –. Una volta Dio mandava gli angeli a comunicare il proprio messaggio, oggi ci parla anche attraverso alcune persone con una speciale spiritualità. Nel suo percorso ci sono diverse tappe e credo che la conoscenza del mondo dei poveri, soprattutto dell’America latina, abbia segnato la sua vita, quella di una persona che ha saputo raccogliere e raggiungere un’autentica maturità umana ed evangelica». Sarà lo stesso Gardin a celebrare le esequie in Cattedrale giovedì alle 10.