Chiesa

Il monaco. «Nelle meditazioni per il Papa la poesia, la bellezza e le città fraterne»

Giacomo Gambassi sabato 2 marzo 2019

Dom Bernardo Gianni, il benedettino olivetano toscano che predicherà gli Esercizi spirituali con il Papa (Fotogramma)

È un po’ come se gli Esercizi spirituali per la Curia Romana si trasferissero a Firenze e il Papa salisse fino a San Miniato al Monte per seguirli. Benché, com’è consuetudine, si tengano nella Casa del Divin Maestro ad Ariccia, non distante da Roma, avranno sullo sfondo il capoluogo toscano con la sua abbazia che compie mille anni e che scruta la città sopra piazzale Michelangelo, con la poesia trascendente di Mario Luzi che aveva composto anche le meditazioni della Via Crucis al Colosseo nel 1999, con la profezia del «pane» e della «grazia» del sindaco “santo” Giorgio La Pira. Perché a predicare il ritiro quaresimale con Bergoglio, dal 10 al 15 marzo, sarà l’abate di San Miniato al Monte, dom Bernardo Gianni. «Al centro delle meditazioni – spiega il monaco ad “Avvenire” – ci sarà un tema caro a papa Francesco: la sfida di proporre uno sguardo evangelico sulla città. E mi guiderà una lirica intitolata Siamo qui per questo che come comunità monastica abbiamo ricevuto in dono da Luzi nel 1997 nella quale, alla fine della sua parabola creativa, il grande poeta offre una lettura ricchissima di San Miniato, mostrando il portato fiorentino di quell’umanesimo cristiano d’ispirazione lapiriana che il nostro capoluogo ha testimoniato durante il Novecento nel mondo ecclesiale e sociale». Non è un caso che gli Esercizi di Ariccia abbiano come filo conduttore proprio un verso di Luzi, “La città dagli ardenti desideri”, e come sottotitolo ”Per sguardi e gesti pasquali nella vita del mondo”. «Sono convinto che la poesia abbia una notevole capacità evocativa. E sia caratterizzata da un imprescindibile risvolto estetico – afferma il religioso 51enne, fiorentino di nascita ma pratese d’adozione, che dal dicembre 2015 è abate –. Papa Francesco parla spesso di bellezza. Ecco, mi affiderò a una poesia che giudico bella e che si sofferma su una città, Firenze, che ritengo bella non secondo un approccio turistico ma in base alla sua adesione al Vangelo».

Padre abate, il Papa l’ha chiamato di persona.

Sì, la telefonata è arrivata all’inizio di gennaio. Francesco si rallegrava della mia disponibilità che mi aveva sollecitato il cardinale Gianfranco Ravasi. Gli ho detto che non mi sentivo molto all’altezza del compito. Anzi per niente, ho precisato. E ho aggiunto che non avevo importanti titoli accademici o docenze in istituti di prestigio. Ma il Papa ha risposto di apprezzare il fatto che non mi ritenessi adeguato.

I versi di Luzi non solo danno il titolo agli Esercizi ma anche alle singole meditazioni, dieci in tutto.

Rifletteremo sulla città, appunto. Anche nell’Evangelii gaudium Francesco richiama più volte ai problemi che marcano le realtà urbane. Vivendo in un monastero sul monte che è, sì, proteso verso Dio ma anche verso la polis, trovo particolarmente stimolante ragionare sulle sfide che attendono una città. Certo, Firenze non è una metropoli sudamericana o asiatica, ma rappresenta comunque un emblematico crogiolo di culture e contraddizioni. Tutto ciò interroga la missione della Chiesa a cui guarderò partendo dall’esperienza che quotidianamente vivo e che è scandita dalla preghiera, dalla vita comunitaria, dall’accoglienza, dal lavoro, ossia dalle tipiche dimensioni della tradizione monastica che ritengo declinabili anche in una città.

Come entrerà La Pira nelle sue riflessioni?

La Pira è evocato sapientemente da Luzi come un sognatore. Perché l’ex sindaco di Firenze nei suoi discorsi politici o spirituali era persuaso che spes contra spem la città di Dio si potesse anticipare, pur con inevitabili tensioni, nella città dell’uomo. E una delle prime meditazioni sarà dedicata al sogno di La Pira per capire che cosa significhi avere un’attesa evangelica sulla città. Del resto il sogno è uno degli strumenti che Dio usa nella Bibbia per dialogare con l’uomo. Ed è anche un elemento che sta a cuore al Papa.

Quale sarà lo specifico degli Esercizi guidati da un benedettino olivetano come lei?

È un tratto monastico la sete dell’uomo lenita ogni giorno dall’accostarsi alla Parola nella liturgia e nella Lectio. Si tratta di un “rimanere”, in senso giovanneo, in Cristo. Altro argomento che emerge a più riprese nel magistero pontificio e che fa parte dell’agenda della Chiesa è quello della fraternità. Provengo da una comunità monastica che è tale perché vive la fraternità. Per questo ho voluto intitolare una meditazione “Stringiamoci la mano”. Un ulteriore aspetto che caratterizza la vita monastica è l’accoglienza. In abbazia l’ospitalità è un esercizio del mistero perché chi bussa va accolto come Cristo. Allora mi sembra interessante l’idea di fecondare la città nel segno dell’accoglienza. Accoglienza che è un rischio da correre ma che è anche l’antidoto per non chiuderci nell’individualismo che minaccia pesantemente le nostre società.

Il Papa chiede alla Chiesa di essere “in uscita”, di andare incontro ai lontani. La sua storia personale è anche quella di un lontano che si converte e che vede nascere la sua vocazione in una notte di Natale.

So per esperienza diretta che cosa comporti vivere senza la fede, magari radicando la propria esistenza in speranze non certo affidabili come la Pasqua di Gesù. Noi monaci siamo chiamati a tenere sempre aperta la porta. E San Miniato è una porta coeli, una “porta del cielo” per le tante persone che salgono sul monte, forse attratte dalla bellezza ma che possono intuire di essere cercate da Dio.

Gli Esercizi rimandano al distacco dal mondo. In un tempo come il nostro prigioniero del rumore e della frenesia, quale il senso del “ritirarsi”?

Per comprendere che cosa davvero alimenti la predicazione, la testimonianza, la missione, occorre tornare alle sorgenti. Ecco, immergersi negli Esercizi spirituali è come scalare una montagna. Per raggiungere la vetta c’è bisogno di fatica e disciplina. Una fatica è quella dello svuotamento da noi stessi, a partire dalle nostre agende, dai nostri impegni, dalle nostre distrazioni. Tutto ciò è un’occasione che dona il Signore a coloro che sentono che la propria vita in se stessa e da se stessa non basta a giustificare la vita.

Siamo alle porte della Quaresima che inizia mercoledì. Come viverla?

Facendo in modo che niente sia inutile e che tutto diventi segno di Dio. Questo implica comprendere quanto è veramente essenziale: quindi più sobrietà, più condivisione. E soprattutto aprirsi al “grande mistero dei misteri”, cioè la Pasqua, che san Benedetto nella sua Regola ci invita a «desiderare». Così durante una delle meditazioni evidenzierò che nella Pasqua si incontrano i più grandi desideri: quello dell’uomo di sentirsi amato e riscattato; quello di Dio di donarsi all’umanità attraverso Cristo.

Lei abita la Rete e i social network. Perché un monaco si spende nel pianeta digitale?

Sono presente su Internet accettando tutti i rischi che la comunicazione via web comporta. Ma ho scelto di esserci come può farlo ogni discepolo del Signore, vale a dire mosso dall’amore. Il che significa accorciare le distanze fra il proprio cuore e quello degli altri per annunciare la bontà di Dio dove la gente si incontra.

L’abbazia di San Miniato è in festa per i mille anni. E a fine aprile si concluderanno le celebrazioni.

Porterò al Papa la nostra storia. Come comunità ci eravamo permessi di invitare Francesco a San Miniato per la ricorrenza, consapevoli che non sarebbe potuto tornare a Firenze per la terza volta in pochi anni. Ma lui ci ha sorpreso e ha voluto che noi fossimo suoi ospiti. Che dono immenso e inaspettato...


LA POESIA DI MARIO LUZI CHE ISPIRA LE RIFLESSIONI DEL RITIRO DI QUARESIMA


Pubblichiamo la poesia di Mario Luzi intitolata Siamo qui per questo e dedicata all’abbazia di San Miniato al Monte a Firenze. Il testo ispirerà le meditazione di dom Bernardo Gianni negli Esercizi spirituali alla Curia Romana con papa Francesco.


Ricordate? Levò alto i pensieri,
stellò forte la notte,
inastò le sue bandiere
di pace e d’amicizia
la città dagli ardenti desideri
che fu Firenze allora …
Essere stata
nel sogno di La Pira
“la città posta sul monte”
forse ancora
la illumina, l’accende
del fuoco dei suoi antichi santi
e l’affligge, la rode,
nella sua dura carità il presente
di infamia, di sangue, di indifferenza.

Non può essersi spento
o languire troppo a lungo
sotto le ceneri l’incendio.
Siamo qui per ravvivarne
col nostro alito le braci,
chè duri e si propaghi,
controfuoco alla vampa
devastatrice del mondo.
Siamo qui per questo. Stringiamoci la mano,
sugli spalti di pace, nel segno di San Miniato.


(Mario Luzi, 1997)