Chiesa

L'intervista. Marcianò: preghiera, antidoto ai conflitti

Mimmo Muolo sabato 13 settembre 2014
​Di fronte alla grande collina delle tombe, Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, si ferma un attimo e alza lo sguardo. In cima si intravedono tre croci. Tutto intorno voci di operai e militari che allestiscono il palco per la visita del Papa. Ma il presule sembra assorto in preghiera. «Vede – conferma dopo qualche minuto –, quando entro in un sacrario militare come quello di Redipuglia, provo un misto di dolore e speranza, un bisogno di far memoria, tanto con la profondità del silenzio che prega quanto con la verità della parola che narra, perché quanto è accaduto nella guerra non sia mai dimenticato». Nelle parole dell’arcivescovo c’è anche il senso del gesto di Francesco, che oggi, proprio qui, celebrerà la Messa per i caduti di tutte le guerre e per ricordare l’inizio della Prima guerra mondiale. Dolore per la tragedia che non si può cancellare e speranza «perché l’uomo è anche capace di ricostruire». Oggi però, sottolinea Marcianò in questa intervista ad Avvenire occorre «superare una colpevole indifferenza» di fronte alle guerre, che spesso impedisce di far crescere la pace.Eccellenza, a cento anni dallo scoppio della Prima guerra mondiale, il mondo ha recepito la lezione di quella «inutile strage»?Sembrerebbe di no. Quanti conflitti ancora aperti e sempre più devastanti. Penso anche alle violenze della criminalità organizzata, alle mercificazioni della prostituzione, alle stragi dei migranti, al potere dei nuovi mercanti di morte con le droghe e gli inquinanti ambientali, al fenomeno sconvolgente dei bambini soldato o di uomini e donne addestrati ad uccidere fin dalla giovinezza, alle persecuzioni religiose che hanno fatto sì che il XX secolo abbia mietuto un numero infinito di martiri i quali, peraltro, ancora continuano a morire. La guerra ha un crescendo spaventoso. Ma anche la pace è in crescita. E lo testimoniano i germi di bene seminati quotidianamente nell’umanità.Il Papa ha detto di recente che oggi assistiamo a una terza guerra mondiale, ma spezzettata. Qual è la sua opinione al riguardo?È realmente preoccupante la drammaticità con cui nuovi focolai di violenza si stanno moltiplicando. Iraq, Ucraina, Nigeria, Striscia di Gaza, Libia, Siria, conflitti con pesi differenti, anche ai fini dell’equilibrio internazionale, ma che destano tutti grande preoccupazione. Temo che rispetto al dilagare della guerra il nostro mondo, stordito dal consumismo e dall’individualismo, non abbia ancora superato una colpevole indifferenza. Il centenario della Prima guerra mondiale è il momento di prendere atto di tale realtà. E di parlare anche di tutte le guerre in atto, soprattutto se "interessano" a pochi e portano a consumare eccidi silenziosi. Un giorno, forse, si potrebbe dire anche di noi, come si disse per l’olocausto, «Dov’era il mondo?».Si è parlato, specie a proposito dell’Iraq, di fermare l’aggressore ingiusto. Quali sono le strade per tradurre in pratica questa esigenza?Fermare, ha detto papa Francesco, non significa fare la guerra e tantomeno bombardare. Sul piano politico è un invito a giocare tutte le armi del dialogo e, qualora questo non basti, far ricorso anche alla forza riferendosi, per ogni scelta, a un’autorità internazionale. Pensando a questo, mi piace citare l’esperienza dei militari italiani nelle missioni internazionali. Visitando i nostri contingenti in Afghanistan, in Kosovo e Libano mi sono reso conto di quanto il contesto internazionale aiuti a creare un clima di dialogo e come il rapporto di collaborazione verso la società civile diventi una via privilegiata di riconciliazione e di pace.Come pensa che la visita del Papa a Redipuglia contribuirà a diffondere l’anelito di pace?Da una parte mi sembra che sia significativo il luogo scelto. Il sacrario militare custodisce il messaggio di una storia di nemici che si è trasformata in storia di fratelli. Coloro che hanno combattuto da nemici riposano insieme, da fratelli. In questo senso, mi sembra che il pellegrinaggio del Santo Padre sia un invito a fare memoria ma anche a purificare la memoria. E questo accade solo se si impara, al posto della vendetta, la logica del perdono. Inoltre il Papa si reca a Redipuglia soprattutto per pregare. Egli sta offrendo al mondo una grande testimonianza e profezia di preghiera, anche dinanzi alla tragedia della guerra. La forza della preghiera non sempre viene colta con la dovuta importanza, anche da noi cristiani, ma forse è soprattutto di questo che la pace ha bisogno per diffondersi.Durante la Prima guerra mondiale uno dei cappellani militari fu Angelo Roncalli. Qual è oggi il ruolo dei cappellani militari e più in generale della Chiesa castrense?Giovanni XXIII ha avuto nel cuore in modo speciale la pace. Penso all’enciclica «Pacem in terris», ma anche all’accorato appello ai presidenti americano e russo, con il quale la sua semplice voce riuscì a fermare un conflitto che sarebbe stato devastante per l’umanità. Egli, che da cappellano militare aveva vissuto proprio la Prima guerra mondiale, seppe trovare le parole giuste per parlare di pace alla Chiesa e al mondo, offrendo una peculiare testimonianza di evangelizzazione. La Chiesa, nel mondo militare, svolge un’opera di evangelizzazione e l’opera dei cappellani nasconde un impegno forse poco riconosciuto, ma che ha in sé una grande potenzialità pastorale. Il tutto credo si possa riassumere in due parole: sostegno e formazione. Da un lato, un accompagnamento pastorale costante, del cammino di fede dei militari e delle loro famiglie; dall’altro, l’attenzione educativa che, per il futuro, è il germe di pace più potente che si possa seminare.