Chiesa

Decennale. Loreto, nella casa dove la vita è giovane

Matteo Liut giovedì 10 dicembre 2009
Una costruzione semplice a due piani, un portico ad archi che chiude su tre lati un cortile ampio e allo stesso tempo contenuto, bassi edifici sparsi sulla cresta di una delle prime colline salendo da Porto Recanati. Qui di giorno soffia una brezza leggera che arriva dall’Adriatico e di notte dall’altra parte, poco distante, luccica la cupola del santuario della Santa Casa di Loreto. È un piccolo giardino, in un angolo privilegiato delle Marche, il luogo che già nel 1995 papa Wojtyla, davanti a 400 mila giovani provenienti da tutto il Vecchio Continente e riuniti sulla grande spianata di Montorso, invitò a trasformare nella «capitale spirituale dei giovani dell’Europa». Cinque anni più tardi, il 7 dicembre 2000, a pochi passi dalla conca che aveva ospitato l’incontro del 1995, nasceva il Centro Giovanni Paolo II. Ieri sera, assieme all’arciprete della Basilica Vaticana, il cardinale Angelo Comastri, che allora era arcivescovo di Loreto, si sono aperte le celebrazioni per il decennale, che sarà celebrato il 7 dicembre 2010.E in quella «piazza» aperta sul mondo che è il cortile del Centro Giovanni Paolo II, oggi continuano a risuonare le voci dei 100 mila giovani che in questi dieci anni sono passati da qui. Risuonano le voci dei giovani, spesso dubbiosi, sofferenti, disorientati, che sono giunti fin qui, in cerca di risposte all’ombra della Santa Casa di Loreto, il santuario che custodisce la memoria di quel «sì» che ha permesso a Dio di entrare nelle case, di animare le piazze e percorrere le vie dell’uomo. Tutti in questi dieci anni sono stati accolti dalla comunità «stabile» che qui ci abita (all’inizio alcuni Oblati di Maria Immacolata con padre Alfredo Ferretti e le suore Alcantarine, oggi alcune suore oblate di Maria Vergine di Fatima con il direttore del Centro, don Francesco Pierpaoli).Alcuni qui ci hanno lasciato il cuore e tornano, ogni volta che possono per mettersi al servizio dei propri coetanei: sono i volontari del Centro.«Questa casa risponde alle esigenze più profonde dei giovani: confronto, ascolto, formazione, spiritualità», racconta Vito Abbasciano, 27 anni, un lavoro da contabile nell’azienda di famiglia in Puglia. «Qui ho messo radici quasi "per caso" facendo il volontario per l’Agorà dei giovani del 2007 – prosegue –. Poi il rapporto è cresciuto anche attraverso esperienze forti. Un esempio su tutti: il capodanno 2007, passato in preghiera nella notte davanti alla Casa di Maria». La formula che rende diverso questo posto? «L’accoglienza: qui non devi fare altro che essere te stesso, non ti viene chiesto di metterti alla prova, di entrare in competizione, ecco perché ci si sente a casa». Una ricchezza che spinge al servizio: «Qui ho avuto modo di incontrare molti miei coetanei e di stare accanto a loro conoscendo realtà molto diverse tra loro, come i gruppi diocesani, ad esempio, o le associazioni, come il Movimento lavoratori di Azione Cattolica».Per alcuni dei volontari il Centro di Montorso è stato lo «sbocco naturale» di un percorso all’insegna del servizio ai giovani. Come nel caso di Massimo Denti, 26 anni, di Reggio Emilia, studente di ingegneria meccatronica. Già volontario nel 2005 per la Gmg a Colonia, ha voluto ripetere l’esperienza per l’Agorà del 2007 e poi a Sydney nel 2008. «Per me il Centro Giovanni Paolo II è stato "amore a prima vista" – racconta –. L’esperienza al Centro s’intreccia con l’eredità di Wojtyla, con il messaggio della Santa Casa, offre una strada diversa dalle altre, ti affascina e ti arricchisce». E poi le amicizie – non quelle «leggere» dei social network: «Qui ho stretto un legame di amicizia molto forte con una ragazza sarda, Anna Franca – racconta Massimo –. Insieme siamo stati chiamati da una terza volontaria del Centro, originaria di Fano, come testimoni al suo matrimonio». Ma perché i giovani vengono qui a Montorso? «Ogni pellegrino è spinto da una propria motivazione – sottolinea Massimo –: ognuno ha la sua storia, chi viene per "staccare", chi per ritrovare se stesso, come feci io all’epoca e come continuo a fare più volte durante l’anno. Altri arrivano qui con grosse domande nel cuore per trovare risposte in un clima di serenità. Di certo qui ci si sente parte di qualcosa di più grande che entra nel quotidiano».Anna Franca Pau, 28 anni, laureata in mediazione linguistica e culturale, vive in Sardegna, «ma la strada fin qui fa ormai parte della mia vita – racconta –. Qui trovo una comunità che ci rende liberi. Qui impariamo a metterci al servizio della persona e anche noi così viviamo il nostro "sì"». E gli amici a casa? «Tra loro ci sono anche alcuni non praticanti e lontani dalla Chiesa: quando torno da Loreto tutti si incuriosiscono, mi vedono gioiosa e carica e chiedono "ma lì cosa succede?". Penso che il Centro Giovanni Paolo II sia un’occasione preziosa che la Chiesa italiana offre a tutti. Qui ho incrociato molte storie di sofferenza: mi ha colpito l’accoglienza che hanno ricevuto nel Centro, tutti vengono accolti per quello che sono».Montorso, insomma, è una casa aperta e senza barriere, che richiede solo «spirito di adattamento e apertura di cuore». A ricordarlo è Gabriella Manfrini, della diocesi di Camerino, 42 anni, impegnata nella Pastorale giovanile, operaia in una fabbrica di macchine da caffè. Arrivata a Loreto per EurHope ’95 e poi tornata con la diocesi per il grande incontro del 2004, Gabriella rimane affascinata: «Esperienze meravigliose, che hanno arricchito anche il già profondo legame con Giovanni Paolo II – racconta –. Da adolescente, scettica e ipercritica, andai a Roma con i malati dell’Unitalsi per l’udienza dal Papa. Quando si avvicinò per benedire i malati il suo gesto mi colpì: da quel momento è iniziato il mio percorso di fede, che mi ha portato al Centro di Montorso. Per me questi dieci anni del Centro sono stati un modo di stare vicina a un qualcosa di grande. Un modo per vivere il mio "sì" da cristiana».