Chiesa

Chiesa. Lefebvriani, quei cammini che allontanano la comunione

Giacomo Gambassi venerdì 31 ottobre 2014
Può essere considerata una parrocchia la Fraternità sacerdotale San Pio X ad Albano Laziale? È questa la domanda che nelle ultime settimane è stata posta più volte alla Curia della diocesi di Albano, soprattutto dopo che «alcuni fedeli cattolici» si erano rivolti alla comunità lefebvriana per l’iniziazione cristiana dei bambini. La risposta arriva direttamente dal vescovo Marcello Semeraro con una «Notificazione» indirizzata ai parroci, in cui il presule chiarisce il rapporto con la Fraternità fondata dall’arcivescovo Marcel Lefebvre. Essa «non è un’istituzione (né parrocchia, né associazione) della Chiesa cattolica », scrive Semeraro. E aggiunge: «Ciò vale anche successivamente al decreto della Congregazione dei vescovi del 21 gennaio 2009 con cui il Santo Padre Benedetto XVI, andando benignamente incontro a reiterate richieste da parte del superiore generale della Fraternità San Pio X, revocava la scomunica nella quale fin dal 30 giugno 1988 erano incorsi quattro presuli» consacrati da Lefebvre. Il vescovo di Albano cita due documenti di Benedetto XVI: il primo è la Lettera ai vescovi del 10 marzo 2009 in cui papa Ratzinger afferma che «la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa» e i suoi ministri «non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa»; il secondo è il motu proprio Ecclesiae unitatem, datato 2 luglio 2009, in cui si ricorda che «le questioni dottrinali, ovviamente, rimangono» sul tavolo.  La Fraternità sacerdotale San Pio X conferma indirettamente la cosa, replicando a Semeraro con un comunicato in cui sottolinea di voler «combattere gli errori contro la fede cattolica romana che sono diffusi nella Chiesa dagli stessi vescovi». I lefebvriani ribadiscono di non accettare il Concilio Vaticano II: dal dialogo ecumenico alla riforma liturgica. E attaccano anche l’«ultimo Sinodo» sostenendo che in esso «sotto le apparenze di misericordia» si sarebbe discusso di «rinunciare nei fatti all’indissolubilità del matrimonio cristiano ». Toni aspri, nonostante prosegua il cammino della Pontificia Commissione Ecclesia dei per «facilitare la piena comunione» con i gruppi legati dall’eredità di Lefebvre.  La «Notificazione» di Semeraro scaturisce dall’esigenza di offrire un orientamento preciso di fronte alle decisioni di quanti hanno voluto magari “accorciare” gli itinerari indicati dalla diocesi per far ricevere ai figli il Battesimo, la prima Comunione o la Cresima e hanno guardato alla Fraternità lefebvriana. Da qui le delucidazioni del vescovo: «Qualunque fedele cattolico che richiede e riceve sacramenti nella Fraternità San Pio X si porrà di fatto nella condizione di non essere in comunione con la Chiesa cattolica. Una riammissione nella Chiesa cattolica dovrà essere preceduta da un adeguato percorso personale di riconciliazione, secondo la disciplina ecclesiastica stabilita dal vescovo». Del resto Semeraro si dice dispiaciuto per le «opzioni» riferite all’Iniziazione cristiana dei ragazzi che sono «in contrasto con gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana e con le scelte conseguenti della diocesi di Albano, dove sono privilegiati percorsi formativi per la crescita e la maturazione della vita di fede». Nessuna “scomunica”, comunque, da parte di Semeraro, ma la decisione di ribadire il magistero su una “ferita” ancora aperta che da anni si sta provando a rimarginare.