Chiesa

La fase 2 nelle chiese. Le condizioni per una ripresa delle celebrazioni con il popolo

Roberto Colombo sabato 18 aprile 2020

Una chiesa di Milano durante il lockdown per l'emergenza Covid-19

Con un incisivo e denso binomio, il Concilio Vaticano II definisce la liturgia fons et culmen, sorgente e vertice della vita cristiana. È «la fonte da cui promana la sua forza vitale» e «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa» (Costituzione apostolica Sacrosactum Concilium, 10). Senza la celebrazione della liturgia la comunità cristiana si spegne. Col tempo diviene astenica, perde l’energia che la sorregge nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, nella vita e nella morte: una energia soprannaturale che è la Grazia. È azione di Grazia la liturgia, e a essa tendono l’animo, la mente, il cuore e l’opera tutta di quanti formano la Chiesa: non soltanto i sacerdoti che la presiedono, ma anche i fedeli laici che vi partecipano.

Le celebrazioni nelle chiese non sono semplici “manifestazioni pubbliche” che esprimono l’iniziativa di alcuni cittadini di aggregarsi in momenti e luoghi prestabiliti, secondo norme che garantiscono e regolano l’esercizio delle libertà costituzionali. Le assemblee liturgiche e sacramentali sono una dimensione imprescindibile – coessenziale insieme all’annuncio del Vangelo e alla carità – della esistenza stessa della Chiesa, non una semplice prerogativa della sua libertà riconosciuta civilmente. Senza battesimi, messe, matrimoni, funerali e altri riti liturgici non si perdono solo delle manifestazioni religiose della fede e della storia culturale di un popolo: ne va della vita cristiana, con tutto quello che consegue per la persona e la comunità. In circostanze straordinarie di pericolo sociale, durante le calamità pubbliche, mentre i credenti collaborano fattivamente per l’incolumità e la salute di tutti i concittadini, non cessa la loro domanda a Dio di salvezza attraverso i riti liturgici, in particolare con la celebrazione della Messa. Ma per carità pastorale e senso di responsabilità civica questa viene direttamente affidata esclusivamente al sacerdote, che offre a Dio il sacrificio eucaristico non solo in persona Christi, ma anche pro populo. Il popolo cristiano vi partecipa indirettamente unendosi all’azione liturgico-sacramentale attraverso la lettura della Parola, la preghiera e la comunione spirituale e, ove possibile, anche mediate la trasmissione audio e video. Così nelle settimane di Quaresima e di Pasqua, non senza una profonda sofferenza per i pastori e i fedeli, ci siamo privati di quella unità visibile che fa gustare attraverso i sensi la bellezza e la dolcezza della comunione fraterna che unisce spiritualmente tutti i credenti in Cristo. La sofferenza più grande è non vedere attorno a sé un bene che pure c’è.

Ora, mentre guardiamo alla seconda fase dell’emergenza pandemica, quella in cui il calo della pressione del contagio virale consentirà una rimodulazione delle misure di isolamento e la ripartenza delle attività più urgenti per la vita sociale ed economica, anche la Chiesa italiana si prepara alla ripresa delle celebrazioni pubbliche essenziali – in primis la Messa e i sacramenti – nella misura e nella forma in cui sarà possibile nell’ambito delle nuove misure di profilassi che il decisore politico varerà. Queste celebrazioni non sono meno necessarie per i fedeli di quanto lo siano altre attività sociali per i cittadini.

Va però detto con franchezza: non è ragionevole pensare che nelle chiese tutto tornerà come prima. È ormai coscienza acquisita dai governanti e dai cittadini che, per le caratteristiche epidemiologiche del coronavirus la cui infettività si attenuerà ma non scomparirà, la vita sociale non riprenderà come l’abbiamo lasciata. Così, anche pastori e fedeli sono chiamati a prepararsi a una nuova stagione della vita delle Chiese locali. Una stagione che, come le altre della sua storia, sarà guidata dallo Spirito Santo per il bene di tutti.

Appena possibile, non ci sarà più chiesto il sacrificio di non partecipare alla Messa o non celebrare le esequie, ma quello di viverle con un cerimoniale appropriato per le norme di profilassi sociale. Questo comporterà, per i sacerdoti, il predisporre gli ambienti, gli arredi, gli impianti e la igienizzazione delle chiese e lo svolgimento dei riti secondo criteri e con mezzi che non avevano utilizzato in precedenza e, per i fedeli, di partecipare in forma rinnovata, abbandonando alcune inveterate abitudini, come il consueto orario in cui andare tutti insieme alla Messa o lo stesso posto in cui sedersi in chiesa. Lo faranno volentieri, preti e laici, per amore al mistero di Cristo celebrato e 'per uscire dal tunnel' in cui siamo – come ha ricordato ieri a Santa Marta papa Francesco – perché la Chiesa «è familiarità concreta con il popolo».