Chiesa

Sinodo. La Relazione: nella famiglia il futuro

Mimmo Muolo sabato 24 ottobre 2015

Alla fine di tre settimane di dibattito, il penultimo atto del Sinodo è contenuto in 94 paragrafi, tutti approvati con la maggioranza dei due terzi. L’ultima parola spetterà ora al Papa, che ieri ha concluso l’assise con un applaudito discorso in cui ha nuovamente sottolineato l’esigenza di stare accanto alle famiglie con misericordia. E questo è anche lo spirito della Relazione finale, in cui è passato – per un solo voto, 178 contro i 177 richiesti dal quorum – pure il brano forse più atteso, il paragrafo 85, relativo ai divorziati risposati. Quello che chiede di discernere caso per caso e – alla luce della «Familiaris Consortio» di san Giovanni Paolo II – ne indica criteri e percorsi. Il testo non menziona mai esplicitamente la riammissione alla comunione. Ma indica una strada affinché – come ha ribadito più volte il Papa – questa non sia solo una medaglia da appuntarsi sul petto. La sottolineatura più forte è infatti la necessità di una autentica revisione di vita, accompagnata dai pastori. Perciò, come si legge nel paragrafo successivo, «bisogna concorrere alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere». Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere a una risposta più perfetta ad essa». Nei tre paragrafi dedicati a questo tema, infatti, il vocabolo fondamentale è «integrazione». I divorziati risposati «non devono sentirsi scomunicati – afferma il paragrafo 84 –, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa». La loro partecipazione, dunque, «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate». E l’integrazione «è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti». Ma se l’attenzione dei media era naturalmente concentrata su questi passaggi, nella Relazione finale c’è molto di più. Dalle 59 pagine del documento emerge soprattutto un grande, corale «sì alla famiglia» consegnato con convinzione al Papa, al quale i padri sinodali chiedono «umilmente che valuti l’opportunità di offrire un documento sulla famiglia». Un sì che è una finestra aperta sul futuro: la famiglia non è superata, anzi è un modello fondamentale anche per la società del XXI secolo. «Grembo di gioie e di prove (n. 2)», essa «è la prima e fondamentale scuola di umanità». Anzi, i vescovi si dicono convinti che «nonostante i segnali di crisi dell’istituto familiare, il desiderio di famiglia resta vivo nelle giovani generazioni». Il secondo messaggio è dunque una porta spalancata per tutti. Misericordia e integrazione, come già detto, sono infatti due delle parole chiave di questo documento finale. Senza scossoni dottrinali. A scorrere anche solo l’indice, infatti, ci si può rendere conto che tutte le "categorie" e le stagioni della vita (bambini, adulti, giovani, terza età, vedovanza, lutti, persone non sposate e con bisogni speciali, migranti profughi, perseguitati) sono prese in considerazione. Viene spiegato come la famiglia faccia parte del piano di Dio e quale sia la sua missione: anche quella di essere soggetto della pastorale, oltre che oggetto. Si ribadisce inoltre l’indissolubilità del matrimonio, la tolleranza zero verso la pedofilia, il rifiuto dell’ideologia del gender, si denunciano le manipolazioni della biotecnologia alla procreazione e si dà grande importanza alla preparazione in vista del matrimonio e poi, una volta formata la famiglia, all’educazione dei figli. Una cura particolare si chiede anche per le famiglie in cui uno dei coniugi non sia cristiano. Quanto alle coppie di fatto, si parte dalla constatazione che in molti casi alla loro base non vi è resistenza nei confronti dell’unione sacramentale, ma «situazioni culturali o contingenti». «Il cammino di crescita che può condurre al matrimonio sacramentale sarà incoraggiato dal riconoscimento dei tratti dell’amore generoso e duraturo». La Relazione, in un solo paragrafo, afferma che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, seppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia», ma raccomanda di riservare «una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale». Il Sinodo «ritiene in ogni caso inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il "matrimonio" fra persone dello stesso sesso». La politica, anzi, ha il dovere sostenere la famiglia, dal momento che «essa ridistribuisce risorse e svolge compiti indispensabili al bene comune». E anche questo fa parte della sua insostituibile bellezza.