Chiesa

Humanae vitae. La doppia profezia di Paolo VI

Gianni Gennari martedì 14 agosto 2018

Paolo VI mentre firma l'Humanae vitae il 25 luglio 1968

Ferdinando Lambruschini, arcivescovo di Perugia dal 1968 al 1981 e, prima, docente di teologia morale alla Lateranense, ebbe un ruolo decisivo nella verifica chiesta da Paolo VI al momento di licenziare definitivamente Humanae vitae. Lambruschini, che con altri sei teologi faceva parte della commissione scelta da papa Montini per la revisione finale del testo, aveva espresso un giudizio negativo. Con lui avevano votato contro Visser e Fuchs - mentre favorevoli si erano detti Colombo, Zalba, Lio e Martelet. Quattro contro tre. Siamo nel maggio ’68. Il testo su amore coniugale e regolazione delle nascite ha già subito una lunga serie di revisioni, rimaneggiamenti, bocciature. Ma quella maggioranza di 4 contro 3 sembra a Paolo VI troppo risicata. Vorrebbe almeno un voto in più. E allora chiama il teologo a lui più vicino tra quelli dissidenti, Lambruschini appunto. Parlano a lungo. Alla fine lo convince con la promessa che la nuova enciclica non sarebbe mai stata dichiarata infallibile e irriformabile. Non solo, sarebbe stato Lambruschini stesso ad annunciare alla stampa internazionale il senso del documento e a spiegare questa decisione del Papa di non chiudere a futuri sviluppi. E così avvenne.

Sembra giusto, nel cinquantesimo di Humanae vitae, tornare sul ruolo decisivo avuto da Lambruschini, non solo perché i suoi interventi sono rimasti finora un po’ in ombra, ma anche perché questi passaggi rivelati a chi scrive, suo successore sulla cattedra di teologia morale del Laterano, non si trovano in alcuna pubblicazione. E non si tratta dell’unica pagina sconosciuta. È rimasto a lungo in ombra anche l’episodio riguardante Emmanuel Milingo, segretario della Conferenza dei vescovi dello Zambia, che nell’agosto 1968, quindi dopo l’uscita di Humanae vitae, scrive al Papa. Nel nostro Paese, dice in sostanza, abbiamo lottato a lungo per far accettare ai malati le cure in pillole e ora proprio dal Vaticano ci arriva un no alla pillola? Ma come faremo a far capire la diversità? E, per quanto riguarda i contraccettivi, Milingo ricorda che nel 1960 il Sant’Offizio aveva accolto il ricorso alla "pillola" per le suore minacciate di stupro con approvazione di moralisti importanti come Palazzini, Fuchs e Zalba, oltre allo stesso Lambruschini (cfr. "Studi Cattolici", n. 27, 1961): dunque l’uso di quella "pillola" non poteva dirsi «intrinsecamente perverso». Il Papa, incuriosito, chiama Milingo in udienza e l’anno dopo, durante il suo viaggio in Africa, il 1° agosto lo consacra vescovo. Nei fatti la sottolineatura negativa di Milingo ricalcava le critiche arrivate anche da quasi 50 Conferenze episcopali. Paolo VI ne prese atto anche con benevolenza, e nei dieci anni successivi, fino alla sua morte, non parlò mai più di soli metodi naturali per la regolazione delle nascite.

Ma come si arrivò a quell’epilogo? Sul tema, in vista del Concilio, nel luglio 1962 era stato inviato dal Sant’Offizio ai padri conciliari un progetto di Costituzione dogmatica De Matrimonio et Familia che riassumeva l’insegnamento della Casti connubii di Pio XI (1930). Fino a quella data anche il metodo “Ogino Knaus” era del tutto inammissibile. Nei fatti quello schema non fu neppure discusso. Nel febbraio 1963 si pensa di andare avanti, e l’8 marzo il cardinale Suenens ottiene da Giovanni XXIII la nomina di tre teologi e tre laici che a ottobre presentano un secondo schema con parere favorevole alla pillola. Paolo VI non ne è contento e a gennaio 1964 porta la Commissione da 6 a 13 membri, poi ad aprile a 15 per un terzo schema, ma senza arrivare a un accordo. Per il Papa è un segnale, e il 23 giugno 1964, parlando ai cardinali, avoca a sé la decisione e istituisce una nuova Commissione.

Nel 1965, tra gennaio e fine marzo, si riunisce ad Ariccia e poi a Roma una sottocommissione centrale, ormai di 58 componenti, affermando che «il concetto di natura non è statico, ma dinamico» e che i pronunciamenti di Pio XI e Pio XII sui cosiddetti metodi naturali «non sono vincolanti». Segue a settembre la proposta di un quarto schema di “Costituzione pastorale” inviato al Papa e ai Padri, con relazione di maggioranza favorevole alla pillola.

Il 12 novembre 1965 arriva in Aula un quinto schema, approvato con 1.596 voti, contro 72 no e 484 proposte di correzioni e la sottocommissione deve rimettersi al lavoro. Il 29 novembre, dopo una serie di altri sviluppi burrascosi, Paolo VI approva il testo, il 3 dicembre stampato e distribuito per la votazione sul tema “De dignitate matrimonii et familiae fovenda”: 2.047 sì e 155 no. Così finisce il Concilio.

Nel marzo 1966 Paolo VI riprende il tutto, amplia la commissione a 72 membri, cardinali, vescovi, teologi, coppie di sposi. Sette sedute durissime segnano una divisione netta e clamorosa: il 25 giugno la relazione a favore della pillola ha 71 sì e 4 no. Paolo VI, inquieto, chiede consiglio a Carlo Colombo, teologo di sua fiducia, e Ottaviani a luglio gli porta una relazione firmata dai teologi Ford, Visser, Zalba e De Lestapis per il no assoluto ai metodi artificiali contraccettivi. Perciò il 29 ottobre 1966 Paolo VI dichiara che i risultati della Commissione pontificia «non possono essere considerati definitivi» e costituisce una nuova Commissione detta "segreta" con 7 teologi: Colombo, Lio, Zalba, Visser, Fuchs, Lambruschini e Martelet. Nelle sue intenzioni essa potrà garantirgli la conferma di un "no" alla pillola.

Ad aprile 1967 la relazione finale favorevole alla pillola arriva sulla stampa di tutto il mondo, Paolo VI preme per una immediata conclusione, e Ottaviani a gennaio 1968 gli presenta come decisivo un testo sulla totale illiceità della contraccezione, con titolo De nascendae prolis, fin dal titolo così tradizionale che il Papa lo boccia. Nelle settimane successive si prepara un testo finale del tutto nuovo, che Gilfredo Marengo nel suo nuovo saggio («La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli archivi vaticani», Libreria Editrice Vaticana) chiama «testo Martin Poupard»: preparato e corretto dallo stesso Papa. Sarebbe quello definitivo della Humanae vitae, ma prima dell’approvazione finale Paolo VI investe della questione la commissione "segreta" dei sette teologi. E qui, come detto, entra in gioco Lambruschini. Tutto risolto? Sembra proprio di no. Alla luce di quanto continua a emergere, quella dell’Humanae vitae appare proprio come una storia lunga, importante eppure ancora in via di scrittura.