Chiesa

FISICHELLA. «La cultura dell’incontro eredità dell’Anno della fede»

Mimmo Muolo sabato 23 novembre 2013

Nell’ufficio di monsignor Rino Fisi­chella i rumori di via della Conci­liazione arrivano ovattati. Sotto queste finestre nell’ultimo anno sono passati milioni di pellegrini di tutto il mondo. «Un fiume di fede – sintetizza l’arcivescovo – che ci auguriamo possa irrorare con più entu­siasmo la vita delle diocesi e delle comunità locali, per realizzare quella che con papa Francesco potremmo definire la cultura del­l’incontro ». Sì, perché l’Anno della fede è or­mai al suo atto finale. «Ma il lavoro vero – af­ferma il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizza­zione, cioè il dicastero che ha coordinato i grandi eventi di questo intenso periodo – co­mincia adesso». Lei ha detto di recente che lo scopo di que­sto Anno era far ritrovare ai credenti il gu­sto della fede. Obiettivo raggiunto? Direi che si sono poste le premesse perché questo accada. E proprio i milioni di pelle­grini arrivati per visitare la tomba di Pietro lo testimoniano. Ma non basta. L’Anno del­la fede era una 'provocazione'. Adesso dob­biamo riscoprire la continuità. Ciò di cui ab­biamo profondamente bisogno è che l’en­tusiasmo trasmessoci da papa Francesco possa diventare reale conversione di vita ed esprimersi in forme pastorali rinnovate, in gioia di credere e di vivere da cristiani e in im­pegno di evangelizzazione. Come dire che finisce l’Anno della fede, ma inizia il lavoro. Esattamente. Il vero grande lavoro comincia adesso ed è un lavoro che ci sarà affidato da papa Francesco tramite l’esortazione Evan­gelii gaudium, al fine di una rinnovata azio­ne missionaria. La fede riscoperta e rivissu­ta con entusiasmo diventa adesso prodromo di un impegno concreto di evangelizzazio­ne. Questo è il grande segno che dobbiamo cogliere, mettendo in gioco noi stessi, affin­ché l’Anno che abbiamo vissuto diventi a­zione di vita personale e comunitaria pro­lungata nel tempo. Questo documento si può paragonare a «Novo Millennio Ineunte» del dopo Giubi­leo? Penso che sia molto più immediato il colle­gamento con la Evangelii nuntiandi. Perché l’intento di papa Francesco è duplice. In­nanzitutto offrire alla Chiesa un elemento comune su cui potersi impegnare in ordine all’evangelizzazione nel mondo contempo­raneo. Ma anche incoraggiare le singole Chiese locali ad affrontare le sfide particola­ri che ogni singola cultura e ogni singolo Pae­se presentano. C’è un elemento che l’ha particolarmen­te colpita e che dà la cifra dell’Anno della fede? Un’amica suora mi ha portato dalle Filippi­ne una bottiglia che ho messo nella mia li­breria e che contiene il logo dell’Anno della fede. È stata realizzata dai carcerati e a me dà la sensazione di quanto in profondità sia giunto il messaggio di questo anno, che ha toccato tutti gli ambienti ed è giunto persi­no in Cina. Commovente è poi il significato del manufatto in sé. Gli autori, infatti, chiu­dendo il logo nella bottiglia, hanno voluto e­sprimere il segno della privazione della loro libertà, ma anche la speranza che quella na­ve possa uscire dalla bottiglia e ritornare in mare aperto. Inoltre la diffusione capillare del messaggio è anche il motivo per cui il Pa­pa consegnerà Evangelii gaudium a diverse categorie di persone. L’Anno è iniziato con Benedetto XVI e si chiude con Francesco. Quale contributo hanno dato rispettivamente i due Ponte­fici? Papa Benedetto ha avuto l’intuizione di in­dire l’Anno rendendosi conto del momento di difficoltà che la Chiesa stava vivendo. Pa­pa Francesco ci ha mostrato con la sua te­stimonianza e con il suo insegnamento co­me la fede deve essere vissuta: cioè uscendo da noi stessi e andando incontro agli altri. O­ra occorre realizzare una cultura dell’incon­tro, cioè far sì che questo dinamismo diven­ti comportamento abituale. La cultura del­l’incontro del resto proviene dalla Rivela­zione stessa di Dio. È il Signore che ci viene incontro. E io spero che, seguendo l’esem­pio del Papa, questa cultura nuova diventi u­no dei frutti più maturi dell’Anno della fede. Anche perché l’uomo nostro contempora­neo è un uomo solo che si rinchiude sempre di più in se stesso, in un individualismo che si risolve in asfissia. E allora diventa inevita­bile per noi restituirgli il senso della vita, per- ché come credenti noi stessi per primi lo ab­biamo ritrovato nell’incontro con Cristo.Come è stato vissuto in Italia l’Anno della fede? Molto intensamente. Con una partecipazio­ne dinamica ed entusiasta non solo ai gran­di eventi, ma anche nelle diocesi. E colgo l’occasione per ringraziare la Cei, i vescovi, i tanti sacerdoti e i moltissimi laici che ci han­no aiutato nell’organizzazione.​