Chiesa

Celibato. Quando un prete ha un figlio. Le linee guida dei vescovi irlandesi

Andrea Galli sabato 26 agosto 2017

Vincent Doyle è uno psicoterapeuta irlandese di 34 anni. Nel 2011, rovistando fra le carte di casa, intuì un segreto che la madre aveva conservato per oltre 20 anni, ma che solo allora fu costretta ad ammettere, senza parole, solo con una lacrima: il padre biologico di Vincent non era quello con cui lui era cresciuto, insieme a tre sorelle, ma era un sacerdote, il parroco di Longford, paesino nella diocesi di Ardagh. John J. Doyle, un religioso spiritano che aveva fatto ritorno dagli Usa dopo anni di missione, morto nel 1995, per Vincent bambino era stato un compagno di giochi e di gite, un padre spirituale, colui che gli aveva trasmesso un legame misterioso, viscerale – e il motivo lo avrebbe capito bene dopo – con la Chiesa. Dopo quella scoperta Vincent, che ha poi voluto prendere il cognome Doyle, scoprì che la sua storia era assai meno rara di quello che pensasse. Aprì un gruppo chiuso su Facebook per raccogliere storie e testimonianze. Poi ebbe l’idea di fondare un’associazione per offrire un supporto psicologico e spirituale alle persone passate per vicende simili alla sua e spesso con ferite esistenziali molto più profonde delle sue. Figli e figlie che sapevano tutto ma avevano dovuto per una vita far finta di nulla, donne e uomini segnati dal senso di colpa, dallo stigma sociale, madri finite abbandonate. Coping International (Coping sta per «children of priests» ) è oggi un apostolato riconosciuto dalla Chiesa e che è potuto crescere soprattutto grazie all’appoggio della Conferenza episcopale irlandese.

Responsabilità da affrontare

E proprio l’assemblea dei vescovi dell’isola di smeraldo lo scorso maggio ha approvato un documento che è stato divulgato pochi giorni fa, dal titolo «Principi di responsabilità per sacerdoti che hanno generato figli durante il loro ministero». È un testo molto breve, che fissa alcuni punti fermi, in primis il fatto che «le necessità del bambino devono venire per prime» e che «un sacerdote, come ogni padre, deve far fronte alle proprie responsabilità – personali, morali, legali ed economiche». Per cui «il minimo» è che, appunto, il sacerdote padre «non fugga dalle proprie responsabilità» e le autorità ecclesiali agiscano in tal senso, anche se poi «ogni caso va esaminato con attenzione». Semplici considerazioni di buon senso? In parte sì, ma stante la mancanza di disposizioni ufficiali in materia, e di riferimenti precisi nel Codice di diritto canonico, sono comunque un aiuto a fare chiarezza, come ha detto l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, e a evitare una gestione di questi casi spinosi senza la debita giustizia e serietà.

L'inchiesta del Boston Globe

Un campionario di questi casi – e spesso drammi – è stato fornito nei giorni scorsi dal Boston Globe – il quotidiano che fece scoppiare lo scandalo degli abusi sessuali nella diocesi di Boston, vedasi il film Spotlight – che su documenti e contatti forniti da Doyle e da Coping international ha confezionato un lungo reportage disponibile online, scritto con professionalità e con un certo equilibrio. «Se un prete è padre di un bambino, ha l’obbligo morale di lasciare il ministero e provvedere alla cura e le esigenze della madre e del figlio», ha detto il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, in riferimento al reportage del quotidiano statunitense.


Bergoglio: no alla doppia vita

Ma a dare una risposta netta e articolata sul tema è stato anche il Papa, quando era arcivescovo di Buenos Aires, nel libro scritto con il rabbino Abraham Skorka, Il cielo e la terra. «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna – scriveva l’allora cardinale Bergoglio – cerco di tranquillizzarlo e a poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha diritto ad avere un padre con un volto. Io mi impegno e regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono e altri no». E correggersi vuol dire: «Fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità».