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L'ANALISI. Quella frazione tutta da calcolare ​

Luigi Corbella sabato 24 novembre 2012
A pochi giorni dal secondo parere del Consiglio di Stato il ministero dell’Economia ha licenziato l’atteso regolamento sull’esenzione dall’Imu per gli enti non lucrativi. Il Decreto 200, pubblicato in Gazzetta venerdì e in vigore dall’8 dicembre, mantiene la struttura dello schema che in seconda formulazione aveva trovato il condizionato consenso del supremo organo di consulenza giuridico amministrativa. Quel parere viene citato in premessa, ma le modifiche non seguono pedissequamente le osservazioni in esso contenute. Ed è un bene. Il Consiglio di Stato aveva suggerito una lettura dell’esenzione così difensiva delle presunte ragioni di "tutela del mercato" da apparire stonato rispetto alla realtà economica e sociale cui deve applicarsi e addirittura ostile al "non profit". Ora il regolamento affronta anzitutto il tema centrale dell’esenzione codificando le condizioni di esercizio non commerciale delle attività considerate meritevoli. Viene preliminarmente, lo sottolineiamo perché è dato termine sino al 31 dicembre 2012 per adeguarsi, prescritta l’obbligatorietà dell’adozione negli statuti di clausole a presidio della non lucratività delle attività. Sostanzialmente il divieto di distribuire utili, avanzi di gestione o patrimonio e l’obbligo del loro reinvestimento a fini di solidarietà. Merita una sottolineatura la sottigliezza lessicale del vincolo. Il reimpiego non deve riguardare la stessa attività agevolata ma in generale le attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale. Passando alle attività le prime ad essere affrontate sono quelle assistenziali e sanitarie. L’esenzione spetta se sono accreditate e a contratto con il servizio sanitario pubblico, salvi tutti i meccanismi di compartecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento. Ovvero, diversamente, solo se svolte a titolo gratuito o con la corresponsione di corrispettivi non superiori al 50% dei corrispettivi di mercato raffrontabili. La prima ipotesi è chiara. Le strutture convenzionate non pagheranno l’Imu, o la pagheranno in proporzione al rapporto tra attività convenzionata e attività libera. La seconda non del tutto, se non altro per ragioni di corretta individuazione dei prezzi di mercato a cui fare riferimento. La sensazione è che le strutture non convenzionate pagheranno l’imposta se non hanno fonti di finanziamento significative diverse dai corrispettivi. Per le attività didattiche le condizioni previste sono ben tre. E una di esse a sua volta prevede quattro sotto condizioni. Insomma una rete a maglie davvero molto strette. E tutte contemporaneamente devono sussistere. L’attività deve essere anzitutto paritaria. Devono poi essere osservati gli obblighi: a) di accoglienza degli alunni con handicap; b) di applicazione della contrattazione al personale; c) di adeguatezza agli standard; d) di pubblicità del bilancio. L’attività da ultimo, si fa per dire, deve essere svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio. Posta così, onestamente, non si può non essere perplessi e un po’ allarmati. Dai corrispettivi andranno senz’altro esclusi i contributi pubblici. Lo poteva dire la norma per evitare equivoci. Ma il riferimento a una frazione del costo effettivo che sarà possibile coprire con le rette non è felice. Il rischio è che continuerà a non essere facile capire quando l’esenzione spetta. A quanto potrà ammontare questa frazione? Se può confortare, l’abbiamo già detto, alla peggio sarà un boomerang. Considerata la patologica carenza dell’offerta pubblica i Comuni magari incamereranno l’Imu, ma poi dovranno restituirla sotto forma di maggiori contributi se vorranno che le scuole paritarie non chiudano. Paradossalmente il regolamento si rivela da ultimo "generoso" con le attività ricettive, culturali e ricreative e sportive. Qui, oltre all’ipotesi della retta simbolica, viene considerato compatibile con l’esenzione anche un corrispettivo pari al 50% di quello di mercato. Sempre se sarà possibile individuarlo. Sul tema del rapporto proporzionale tra attività considerate commerciali e non commerciali il decreto fa infine un salto di qualità. Il criterio al quale rapportare proporzionalmente l’esenzione può essere lo spazio, quindi il rapporto fisico tra superfici destinate ad attività non commerciali e ad attività commerciali, ma anche il numero dei soggetti coinvolti, ovvero ancora il tempo di utilizzo. Il regolamento chiude insomma con un respiro un po’ più ampio. Anche se resta la preoccupazione per le attività didattiche. Speriamo si riesca per queste ultime a dare una lettura più chiara in sede interpretativa.