Chiesa

Il linguaggio del Papa. Da "Buonasera" fino a "Misericordiando" nel vocabolario il respiro della vita

Riccardo Maccioni mercoledì 12 marzo 2014
Che la simpatia fosse immediata, reciproca e destinata a crescere lo si è capito subito. Sin da quel primo buonasera geniale e originalissimo nella sua apparente banalità. Un saluto semplice come quel Pontefice venuto «quasi dalla fine del mondo» e che adesso chiedeva silenzio e invitava a pregare il Padre Nostro e l’Ave Maria. Da allora è stata un’escalation di affetto e sintonia, di feeling come direbbero gli inglesi.Di papa Francesco piace il pollice che si alza in segno di saluto, le volte in cui rompe il protocollo, lo sguardo sorridente mentre scambia lo zucchetto bianco o indossa il cappello da alpino. Il suo è un vocabolario alla portata di tutti, ricco di esempi e di immagini tratte dalla vita quotidiana. Non è raro sentirlo parlare degli insegnamenti della nonna, e quando un concetto gli sta particolarmente a cuore chiede «per favore» come l’amico educato che non vuole disturbare. «Per favore» ripete e la gente sa che può credere a chi preferisce l’utilitaria all’auto blindata e in piazza San Pietro strappa un sorriso al malato chiedendogli se la moglie cucina bene. Si fida di un «parroco del mondo» che consiglia i libri che legge, regala le misericordine come un farmacista dell’anima e alla fine di ogni Angelus augura «buon pranzo» a tutti. Il suo è un linguaggio che pesca a piene mani dalla strada, in cui la soave musicalità dell’italiano si sposa con la rotondità delle «esse» spagnole, confinando se non proprio eliminando ogni asprezza di pronuncia. E allora diventa facile imparare concetti complessi come «globalizzazione dell’indifferenza» o «cultura dello scarto», meno complicato capire che le periferie, geografiche ed esistenziali, non vanno confinate ma messe al centro e che l’ultimo dei poveri è il prediletto del Signore. Valori di sempre, si dirà ed è vero, ma che ripetuti da Bergoglio sembrano ogni volta nuovi. Come il continuo richiamo alla misericordia. Come i frequenti rimandi alla tenerezza da intendere come capacità di ascolto, di accompagnamento, di accoglienza. Agli sposi, papa Francesco raccomanda di imparare ad usare le parole «permesso», «grazie» e «scusa». Con gli anziani sottolinea che la vecchiaia è l’età della sapienza. Ai giovani chiede di non aver paura di fare «passi decisivi». Perché solo «l’amore sa colmare i vuoti» e a «volte le lacrime sono gli occhiali per vedere Gesù». Ecco allora che diventa logico, quasi inevitabile l’invito, rivolto a tutti, ad aprire le porte e uscire da se stessi per incontrare il fratello. Un giorno Bergoglio commentando il suo motto: "Miserando atque eligendo", ha detto che gli piace tradurlo in "misericordiando". Un gerundio che in italiano non esiste però profuma di perdono, di braccia aperte, di gioia, che non a caso in spagnolo si dice alegría. Una parola nuova per arricchire quel dizionario della vita che, grazie a Francesco, sta portando aria fresca alla Chiesa. E al mondo.