Chiesa

Il ricordo. «Quando Benedetto ci disse: ragazzi, non sia lo specchio a dire chi siete»

Marco Iasevoli sabato 31 dicembre 2022

La mattina del 30 ottobre 2010 papa Benedetto XVI aveva dinanzi agli occhi, in piazza San Pietro, 100mila ragazzi e adolescenti di Azione cattolica. Aria di festa dietro le transenne di sicurezza, mentre sul sagrato c’era una discreta trepidazione. Il papa-teologo aveva accettato una modalità inedita di interazione: nessun discorso, ma risposte dirette a domande dirette. Un pontefice considerato asciutto, essenziale, per nulla show man, alle prese con le questioni semplici di ragazzi che si affacciavano alla vita.

«Santità, ma che vuol dire crescere?», rompe gli indugi il più piccolo tra i ragazzi “scelti” per le domande. Un attimo di silenzio, di suspence… Sarà mica una domanda troppo “banale” per un Papa? L’incipit scioglie i timori. «Che cosa fa un bambino per vedere se diventa grande? – replica Benedetto XVI -. Confronta la sua altezza con quella dei compagni; e immagina di diventare più alto, per sentirsi più grande. Io, quando sono stato ragazzo, alla vostra età, nella mia classe ero uno dei più piccoli, e tanto più ho avuto il desiderio di essere un giorno molto grande; e non solo grande di misura, ma volevo fare qualcosa di grande, di più nella mia vita…». Crescere, diventare grandi, alzarsi verso l’alto diventa allora, semplicemente «amare tanto Gesù». «Così diventate grandi davvero, non solo perché la vostra altezza aumenta, ma perché il vostro cuore si apre alla gioia e all’amore che Gesù vi dona». La semplicità in risposta alla semplicità.

Ma il secondo scoglio era più duro. «Santità, mi dicono che devo imparare ad amare… ma come si fa?», chiede senza timidezze una ragazza. «Nell’adolescenza ci si ferma davanti allo specchio – risponde papa Ratzinger guardando fisso negli occhi la ragazza - e ci si accorge che si sta cambiando. Ma fino a quando si continua a guardare se stessi, non si diventa mai grandi. Diventate grandi quando non permettete più allo specchio di essere l’unica verità di voi stessi, diventate grandi se siete capaci di fare della vostra vita un dono agli altri: questa è la scuola dell’amore». Il punto, proseguiva papa Benedetto XVI, è provare a sfidare la mentalità dominante. «Anch’io – confessa - nella mia giovinezza volevo qualcosa di più di quello che mi presentava la società e la mentalità del tempo. Volevo respirare aria pura, soprattutto desideravo un mondo bello e buono». Così è in amore: sognare e desiderare qualcosa in più. «È proprio vero: voi non potete e non dovete adattarvi ad un amore ridotto a merce di scambio, da consumare senza rispetto per sé e per gli altri, incapace di castità e di purezza. Questa non è libertà. Molto “amore” proposto dai media, in internet, non è amore, ma è egoismo, chiusura, vi dà l’illusione di un momento, ma non vi rende felici, non vi fa grandi, vi lega come una catena che soffoca i pensieri e i sentimenti più belli, gli slanci veri del cuore».

Parole dette ai ragazzi, perché gli educatori – tanti quel giorno in piazza – intendessero. «Voi sapete bene – si rivolge a loro Benedetto XVI - che non siete padroni dei ragazzi, ma servitori della loro gioia a nome di Gesù, guide verso di Lui. Avete ricevuto il mandato dalla Chiesa per questo compito». Perciò «voi siete dei buoni educatori se sapete coinvolgere tutti per il bene dei più giovani. Non potete essere autosufficienti, ma dovete far sentire l’urgenza dell’educazione delle giovani generazioni a tutti i livelli. Senza la presenza della famiglia, ad esempio, rischiate di costruire sulla sabbia. Senza una collaborazione con la scuola non si forma un’intelligenza profonda della fede». Consigli preziosi di un nonno saggio e premuroso che, in quel giorno di festa, si calò completamente, senza timore di sminuzzare nella semplicità profonde verità, nelle attese dei piccoli e dei grandi presenti in piazza San Pietro.