Chiesa

Il gesto. Gran Sasso, una cima intitolata a Giovanni Paolo II

Toni Mira lunedì 27 gennaio 2014
Quota 2424, questa dal 18 maggio sarà Cima Giovanni Paolo II, sul massiccio del Gran Sasso. Quassù il silenzio ti avvolge. Solo il soffiare del vento e il canto delicato del fringuello alpino. Attorno tanta neve. Candida neve che copre ancora rocce e pascoli malgrado la primavera inoltrata. Improvviso un falco pellegrino compare in picchiata. È un attimo, come in un attimo mi era apparso durante la salita. Fermo a mezz'aria, battendo le ali controvento, nella posizione detta dello «Spirito Santo» perché ricorda l'immagine tradizionale presente in tante nostre chiese. Forse un segno. Forse sono un caso. Ma è bello pensare ad un saluto venuto dal cielo in questa giornata di ricordo di Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla amava queste montagne abruzzesi. Più volte le ha percorse camminando e sciando. Le sue «scappatelle». Ma soprattutto il suo speciale rapporto con la montagna e con la sua natura. Proprio il «silenzio della montagna» e «il candore delle nevi», gli stessi di oggi, «ci parlano di Dio», diceva il 20 giugno 1993 nel suo discorso per la benedizione della chiesetta di Nostra Signora della neve a Campo Imperatore, proprio sotto il Gran Sasso. «Ci additano ? aggiungeva ? la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti». Montagna come «parola del Signore». Soprattutto questa abruzzese, così aspra e solitaria. Qui si fatica e si pensa. Per questo Karol Wojtyla la amava molto. Ma anche gli abruzzesi lo amavano, anzi lo amano. Così in preparazione del suo 85mo compleanno, avevano deciso, amministrazione comunale e Cai de L'Aquila in testa, di dedicargli una vetta del massiccio del Gran Sasso. La scelta era caduta su un torrione di roccia, tra la cresta delle Malecoste e il pizzo Cefalone, chiamato da sempre «Gendarme», nome che si dà di solito ai roccioni posti di guardia ad altre vette. Zona poco conosciuta, ma non da Giovanni Paolo II che era venuto più volte a pregare nella piccola chiesa di San Pietro della Jenca, a quota 1166, nel comune di Assergi, da cui ora parte il «sentiero Wojtyla» che porta in 4-5 ore in vetta. Niente di particolarmente difficile. Buone gambe. Fiato allenato. E tanto amore per la montagna. Il sentiero sarà inaugurato lo stesso giorno in cui verrà intitolata la cima a Giovanni Paolo II, il 18 maggio. In quello che sarebbe stato l'85mo compleanno di papa Wojtyla. A ricordarlo sarà una croce posta in vetta, alta 2,30 metri e pesante 500 chili, con le immagini in ceramica di Giovanni Paolo II e dei quattro patroni de L'Aquila: San Massimo D'Aveia, San Equizio Amiternino, San Pietro Celestino V, San Bernardino da Siena. E papa Wojtyla era molto contento di questo «regalo» abruzzese. Il 17 marzo, attraverso il sostituto alla segreteria di Stato monsignor Leonardo Sandri fece sapere di accogliere «con riconoscenza l'iniziativa», aggiungendo di essere «sempre memore delle numerose escursioni compiute in tale località montana». Gli sarebbe piaciuto molto il «suo» sentiero. All'inizio è costegiato dai biancispino in fiore. Poi i ginepri, la rosa canina, il pino mugo. E poi ancora fiori, tanti fiori. Più a valle le piccole orchidee gialle e rosa, le violette del pensiero, i nontiscordardime. Più in alto un tappeto di crochi e genzianelle. Non mancano le poiane i gracchi alpini e altri animali. Ma a dominare è lei, la montagna. La roccia, la neve. E queste interminabili salite. Una sfida, la definiva Giovanni Paolo II. «Chiede sacrificio ed alleamento. Obbliga a lasciare la sicurezza delle valli, ma offre a chi ha il coraggio dell'ascesa gli spettacoli stupendi delle cime. Essa ? commentava ? è pertanto una realtà fortemente evocativa del cammino dello spirito, chiamato ad elevarsi dalla terra al cielo, fino all'incontro con Dio». E la Cima Giovanni Paolo II è proprio così. Il lungo cammino, ben 1300 metri di dislivello da affrontare di buon mattino, anche per godere appieno i colori, i suoni, i profumi. La fatica della "sfida" su sentieri certo non agevoli (ma in montagna si deve faticare, altrimenti che montagna sarebbe). Ma poi la gioia, sì proprio gioia della vetta. Quel silenzio che invita a rifettere e pregare. Lo faceva Papa Wojtyla. L'ho fatto io oggi pensando e pregando lui, ora che il Dio delle montagne lo ha chiamato alla vetta del cielo. Una preghiera soprattutto per chi soffre e per chi non potrà mai godere questi momenti. Un pensiero a mia moglie e ai miei figli, poi zaino in spalla per la lunga discesa. Col cuore e l'anima ricaricati. E negli occhi quel Papa con gli scarponi che guardava le sue montagne.