Chiesa

Intervista. Don Gentili: «Un risveglio per tutta la Chiesa»

Luciano Moia mercoledì 10 dicembre 2014
«Questo cammino sinodale segna un grande e confortante risveglio di tutta la Chiesa perché il rinnovamento della pastorale familiare non potrà che avere effetti benefici sull’intero corpo ecclesiale. E quindi su tutta la società. Lavorare per la famiglia vuol dire costruire un futuro migliore per tutti». Don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale familiare, scorre le 46 domande diffuse ieri con i Lineamenta e non riesce a trattenere la grande soddisfazione che ha nel cuore.Si è parlato per tanti anni di soggettività pastorale delle famiglie. Questo nuovo questionario indica che il protagonismo familiare passa davvero dall’enunciazione alla prassi?Il Papa chiede per la seconda volta, in questo cammino sinodale, l’ascolto delle famiglie. Mi sembra un bellissimo gesto di coerenza perché, in un "doppio" Sinodo che ha al centro proprio i temi della famiglia, è giusto tener presente quello che le famiglie stesse pensano e sperano. E poi è giusto che, divulgando questa nuove serie di domande, il Sinodo torni fuori dalle aule vaticane, in un confronto vivo con la realtà.La soggettività implica anche responsabilità da parte delle famiglie. Certo, le domande sono articolate, molto complesse anche, in alcuni passaggi. È evidente che questo non è un sondaggio. Bisogna comprendere e mettersi in gioco. Ma fa parte di un’idea in linea con il dettato conciliare. Lo Spirito aleggia su tutta la Chiesa, non solo sui ministri ordinati. E quindi tutti sono corresponsabili delle scelte della Chiesa.La maggior parte delle domande sono richieste di approfondimento, di spiegazioni. Sembra davvero prevalere la volontà di considerare la famiglia come una risorsa per l’annuncio.E infatti è così. Si intende portare la ricchezza del matrimonio e della famiglia in tutte le situazioni, soprattutto quelle segnate dalla disgregazione e dalla sofferenza. Il problema è come farlo nella maniera più efficace. Scorrendo le domande mi sembra di stare in un consiglio pastorale allargato in cui un buon parroco chiede a tutte le famiglie credenti nuove vie per essere presenti nelle sfide del nostro tempo e affiancarsi a quei figli che hanno dimenticato Dio.Non è che tra questi figli ci sono anche quei giovani conviventi che guardano al matrimonio più come a un peso che a una risorsa?Ci sono anche questi, certo. Oggi chi si sposa rischia di pensare soprattutto al peso degli impegni economici, alla fatica di far famiglia. Abbiamo perso il senso del matrimonio come grazia. Eppure anche chi convive da tanti anni in modo "convinto", ha la percezione che il matrimonio, al di là dei modelli negativi incombenti, sia comunque un’opportunità. Alcune domande del nuovo questionario interpellano proprio la necessità di rinnovare la testimonianza delle nostre comunità su questo aspetto.I tanti riferimenti alle famiglie ferite e alle necessità di "far sperimentare loro la misericordia del Padre" anche a proposito dell’accesso ai sacramenti finiranno per orientare la riflessione su un punto ancora molto controverso?Mi pare che le indicazioni del Papa nell’Evangeli gaudium siano già molto chiare: la Chiesa non è un posto di dogana. Prima mostriamo la bellezza della meta, poi facciamo capire il senso del percorso e le regole sono necessarie. Oggi, in troppe occasioni, facciamo il contrario. Ogni incontro è invece un’occasione per mostrare l’abbraccio del Vangelo. Spesso non abbiamo soluzioni da dare, ma solo accoglienza e vicinanza.Tra le domande sono comparsi adozione e affido. Un segnale importante?Molto, non si può pensare al senso del matrimonio se di dimentica quella fecondità non solo biologica che diventa solidarietà, apertura e accoglienza a tutto tondo. Soprattutto verso i più deboli e fragili.