Chiesa

Intervista. Monsignor Galantino: «Basta tagli alla scuola»

Mimmo Muolo lunedì 3 febbraio 2014
Chi ha a cuore la scuola, tutta la scuola, solo la scuola, senza aggettivi né ideologismi, il 10 maggio in Piazza San Pietro non potrà mancare. Così come non potranno mancare i genitori che si interessano davvero dei loro figli, i professori che vogliono svolgere bene la propria professione e quanti pensano che, anche e soprattutto con una scuola all’altezza dei suoi compiti, potranno essere formati cittadini dotati di spirito critico e dunque immuni dal fascino del primo venditore di fumo che si affaccia in tivù o su internet. Il vescovo Nunzio Galantino ne è convinto e riassume così, in questa intervista ad Avvenire, il senso dell’evento annunciato dal cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, lunedì scorso. «Andremo ad ascoltare la voce del Papa – dice il segretario della Conferenza episcopale italiana –. Non certo a rivendicare finanziamenti per la scuola cattolica». Ma soprattutto, aggiunge, «vogliamo lanciare un segnale politico: la scuola non può essere il bancomat da cui, attraverso i tagli, attingere il denaro da sprecare in altre direzioni».Eccellenza, qualcuno ha scritto che questa giornata vedrà scendere in piazza i fedeli per difendere la scuola cattolica. È proprio così?Assolutamente no. Innanzitutto sgombriamo il campo da un equivoco che non serve a nessuno. In Italia non c’è una scuola cattolica e una scuola laica, ma esiste la scuola pubblica statale e la scuola pubblica paritaria. Dunque, il 10 maggio sono invitati tutti coloro che hanno a cuore l’importanza della scuola per la società e che hanno voglia di liberare la scuola dagli ideologismi. Noi non andremo in piazza San Pietro per dire: «Vedete quanti siamo? Dateci tutti i soldi che ci spettano». È vero che lo Stato (e chi non fosse sufficientemente informato) deve prendere coscienza, una buona volta, del fatto che la scuola pubblica paritaria fa risparmiare 6 miliardi e mezzo e, quando va bene, riceve non più di 500 milioni all’anno. Ma la manifestazione, ripeto, non ha questo scopo.E allora qual è la sua vera identità?Andremo in piazza San Pietro per sentirci dire una parola chiara dal Papa sul tema della scuola. Poiché tutti riconoscono a Francesco la capacità di dire cose illuminanti e profonde, come Chiesa italiana ci siamo chiesti: «Perché non ascoltare cosa ha da dirci affinché la scuola raggiunga i suoi obiettivi, che non sono quelli dell’indottrinamento, ma di essere luogo nel quale formare persone attrezzate criticamente e capaci di progettualità?». Pensiamo infatti che questo sia il momento giusto per ritrovarci e ribadirlo. La scuola non se la passa bene, anche perché purtroppo i primi tagli che si fanno riguardano l’educazione.Quindi, l’invito non è solo ai genitori, agli alunni e ai professori delle scuole cattoliche?L’invito è per tutti, perché la scuola è una. E tutti dobbiamo avere a cuore che raggiunga pienamente il suo scopo. Essa non può essere luogo per promuovere ideologismi e non è chiamata solo a dare risposte pronte agli studenti. Non è il prêt-à-porter della vita, ma l’ambiente in cui si offrono gli strumenti critici necessari per mettere il singolo in condizione di affrontare e di abitare in maniera consapevole e sensata questo mondo. E allora diciamo ai genitori: «Vi interessa il luogo in cui i vostri figli trascorrono gran parte delle loro giornate? Vi interessa che siano resi capaci di abitare in maniera critica e consapevole il loro tempo? Vi interessa che vengano loro forniti gli strumenti per non essere preda dell’ultimo avventuriero o venditore ambulante che va in televisione e dell’ultimo propagandista di talent scout?». E allora la manifestazione del 10 maggio è per voi, come lo è per i professori e per tutto il personale di una scuola che non sia solo un parcheggio di abusivi, ma abbia la capacità di formare uomini e donne che abitino criticamente la complessità.Non ci si può nascondere però che un successo numerico della manifestazione sarà interpretato come un segnale politico...Se saremo in tanti e se riusciremo ad attirare l’attenzione, anche dei politici, sulla scuola, ben venga. Ma è un segnale politico, lo ripeto, a favore di tutta la scuola. Intendiamoci. Il problema della chiusura delle scuole cattoliche esiste e ne ha parlato anche il cardinale Bagnasco nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei di gennaio. E questo non è un fatto irrilevante, perché un genitore deve essere libero di scegliere il luogo in cui suo figlio si forma. Ma non è questo il segnale politico che si intende dare, quanto il far crescere in tutti i fruitori della scuola una visione meno ideologizzata, perché oggi la malattia mortale della scuola, a destra come a sinistra, è la sua riduzione a ideologia. Allora, se il 10 maggio, anche grazie alle parole del Papa, chi ci amministra capirà che abbiamo bisogno di una scuola libera e capace di formare; e se chi di dovere comprenderà che non si può fare della scuola il bancomat dal quale andare a sottrarre continuamente risorse per poterle sprecare in altri ambiti, noi avremo ottenuto un grande risultato politico, ma nel senso più nobile del termine, cioè di amore alla polis.Scuola, lavoro, famiglia e dunque vita - oggi tra l’altro è la Giornata della vita - sono stati anche i temi del Consiglio permanente. Che cosa è emerso?È emersa tra noi in modo ancora più netto la consapevolezza che non si tratta di singoli capitoli di un libro, ma di ambiti collegati e interconnessi che potranno crescere e svilupparsi solo se li affronteremo con un progetto unico. Prendiamo ad esempio la Giornata della vita. Non riduciamola soltanto a un tema che riguarda l’inizio e la fine della vita. Sono convinto che questa giornata verrebbe guardata con maggior favore e troverebbe tantissima accoglienza, se cominciassimo a parlare anche della qualità della vita. Perché è chiaro che dobbiamo preoccuparci degli aborti e dei tentativi più o meno subdoli di far passare l’eutanasia, ma ci preoccupiamo anche della gente che purtroppo non vive ma sopravvive. Allora, in questa giornata non dobbiamo tendere solo ad aggiungere anni alla vita, ma vita agli anni. Cioè, appunto, lavorare per la qualità della vita che è frutto di una scuola seria, di una famiglia sana e di un lavoro dignitoso. Se infatti non lavoriamo in questa direzione, chiunque potrebbe dire: «Ma perché mettere al mondo i figli, se poi non vale la pena di vivere?». E nella qualità della vita c’è anche la questione lavoro?Sicuramente. E il Consiglio permanente ha detto una cosa interessantissima che tra l’altro ci fa tornare al tema della scuola. È finito il tempo in cui il lavoro lo si riceveva per tradizione di famiglia. Oggi serve progettualità. Ed ecco che una scuola all’altezza del suo compito educativo deve stimolare la progettualità dei ragazzi. Come si vede tutto è collegato. E dobbiamo ragionare in virtù di questi collegamenti. Al contrario continueremo a piangere perché si nega la vita, non si vuole la famiglia, non c’è lavoro e la scuola va male. Invece lo sforzo deve essere quello di mettere insieme queste polarità.Poco più di un mese fa la sua nomina a segretario generale. Ma continuerà anche ad essere vescovo di Cassano all’Jonio. Come vive queste due realtà?Non sono nuovo a queste “pazzie”. Ero parroco e insegnavo all’università. L’ho fatto per 36 anni. A un certo punto ero parroco, insegnavo e guidavo un ufficio della Cei. Questo un po’ mi deriva dalla mia storia familiare, perché appartenendo a una famiglia numerosa, mio padre non aveva i soldi per tenermi in seminario e allora d’estate mi toccava procurarmi i soldi. Dunque il doppio incarico è un po’ nel mio Dna e sono felice che il Papa abbia acconsentito alla mia esplicita richiesta, perché l’impegno pastorale diretto mi ha sempre aiutato a svolgere bene anche gli altri compiti. Spero che questo avvenga anche ora.