Chiesa

Cile. Silva, presidente dei vescovi: il Papa ci porta pace, ne abbiamo bisogno

Lucia Capuzzi, inviata a Santiago del Cile domenica 14 gennaio 2018

Monsignor Santiago Silva Retamales, presidente dei vescovi cileni (Siciliani)

INVIATA A SANTIAGO DEL CILE «Il Cile ha un bisogno urgente di ascoltare le parole e contemplare i gesti di papa Francesco. Ha necessità di questo viaggio. Ora più che mai». “ Bienvenido Santo Padre” («Benvenuto Santo Padre»). “ Te esperamos” («Ti aspettiamo »). Le scritte, accanto al volto sorridente di Bergoglio, si ripetono lungo La Alameda, il grande viale alberato che marca come una cicatrice la pelle di Santiago. Le chiese coloniali del centro sono ornate di bandiere bianche e gialle. Poco più in là, al Santuario di San Alberto Hurtado si distribuiscono fo- to del Papa e fotocopie con alcuni dei suoi messaggi. Perfino il carcere femminile di San Joaquín sembra meno tetro. La sede della Conferenza episcopale è un brulicare di persone che vengono a verificare gli ultimi dettagli organizzativi per partecipare alle celebrazioni. Anche nel vescovado castrense, dove si trova il presidente dell’episcopato cileno, il vescovo Santiago Silva Retamales, ordinario militare, freme in queste ultime ore d’attesa. Tutto è pronto per accogliere il Pontefice, che da domani si recherà come “pellegrino di pace” nella nazione australe. A dispetto degli atti vandalici di venerdì – che hanno indignato il Paese –, man mano che scorrono le oti re, crescono la curiosità e l’entusiasmo della popolazione, all’inizio «tiepida» secondo alcuni analisti nei confronti del viaggio bergogliano. «Ci sono alcuni settori laicisti che sono perplessi o critici nei confron- della visita del Papa. Non rappresentano, però, la stragrande maggioranza della gente, anche se fanno rumore nei media», dice ad Avvenire monsignor Silva, visibilmente emozionato. Lo stesso si può dire degli intenti di devastazione contro cinque chiese e di irruzione nella nunziatura, opera di gruppi minoritari ansiosi di sfruttare la platea mediatica offerta dalla presenza della stampa internazionale. «Il popolo cileno ha un desiderio profondo di accogliere e incontrare Francesco », osserva il porporato. Poi ripete: «Soprattutto ne ha bisogno». Le ragioni sono molteplici. «Il Cile come altre nazioni dell’America Latina vive un momento delicato dal punto di vista “antropologico”. Negli ultimi decenni il Paese è profondamente cambiato. Quella che visitò san Giovanni Paolo II trentun anni fa non ha niente a che vedere con la nazione attuale. Abbiamo fortunatamente ritrovato democrazia e libertà, il benessere è aumentato, l’economia cresce. Al contempo, però, l’individualismo si è fatto tanto sfrenato da sfilacciare il tradizionale senso di comunità, tanto radicato nella società cilena. Spesso, dunque, la vita e la dignità dell’essere umano sono sacrificati in nome del profitto ad ogni costo». Il malessere si esprime in un incalzante senso di smarrimento, di apatia, di indifferenza. La sfiducia non risparmia alcuna istituzione, Chiesa inclusa. «Il motto del viaggio, “Vi lascio la pace”, cerca di esprimere il muto grido esistenziale dei cileni, prigionieri della solitudine e ansiosi di ricostruire relazioni interpersonali significative e autentiche – afferma il vescovo –. La nostra società ha urgente necessità di pace. La pace del Risorto che si nutre di gioia e speranza. Quella pace che il Papa viene a portarci. Il suo messaggio sarà un prezioso stimolo per tutti - cristiani, credenti di altre fedi e non credenti - per ripensare la società in Cile». Silva ha conosciuto l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio ad Aparecida. «Ero nella Commissione incaricata di scrivere il documento finale. E lui ne era il presidente – racconta –. Per settimane abbiamo lavorato fianco a fianco. In quell’occasione, sono rimasto colpito dalla sua capacità di intuire le necessità del prossimo. Di comprenderne i sentimenti, la condizione spirituale e personale. E di accompagnarlo. Ponendosi al suo fianco con discrezione. Non si tratta solo di uno stile personale. Tale attitudine, propria di Francesco, è il modello per condurre l’evangelizzazione nel mondo attuale. Prima di proporre un messaggio, una verità, dobbiamo stabilire una relazione personale che favorisca la trasmissione del Vangelo. In tale ottica, vedere il Papa “in azione” sarà fonte di ispirazione». La Chiesa cilena non vuole, però, che del viaggio resti un bel album di fotografie. Perciò, a continuazione, a marzo, si aprirà il Congresso eucaristico, che proseguirà fino a novembre. «Non è un’aggiunta ma parte integrante del pellegrinaggio del Santo Padre. Ripenseremo a quanto ci lascerà in eredità nella contemplazione di Gesù Eucaristia. Ansiosi di tradurre le riflessioni in azioni e comportamenti. Per rinnovarci come Chiesa in modo da annunciare con maggior pertinenza la Buona Notizia. Vogliamo provocare le persone, interpellarle. La gente è cambiata. Noi pastori non sempre abbiamo tenuto il passo. Francesco, con la sua carica, ci aiuterà a riprendere il ritmo». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista A sinistra, Santiago, capitale del Cile, prima tappa del viaggio di Francesco A destra, Temuco, cuore dell’Araucanía, regione con un’elevata concentrazione di nativi, i mapuche, «la gente della terra», che il Papa incontrerà mercoledì A destra, Puerto Maldonado, la «porta» dell’Amazzonia peruviana ma anche l’epicentro di Madre de Diós, regione dove la foresta è stata sterminata dalla fame di metalli Qui il Papa incontrerà venerdì seimila rappresentanti dei popoli amazzonici