Chiesa

L'indagine. Facebook, le suore più "social" dei preti

Ilaria Solaini venerdì 30 maggio 2014
Essere sempre connessi, essere online e presenti sui social network non significa necessariamente uscire e incontrare l’altro. Questo perché i social media non sono un nuovo mondo, ma un nuovo modo di comunicare con regole ben precise. «La connessione da sola non è garanzia di relazione. A fare la differenza è la qualità del coinvolgimento personale» ha sostenuto, ieri, don Ivan Maffeis, vice direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, nell’ambito del convegno dal titolo «Churchbook. Tra social network e pastorale», ospitato ieri dall’Università Cattolica di Milano. Ad aprire la giornata di studi è stato il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’ateneo, che ha richiamato e fatto proprio l’auspicio di papa Francesco di «abitare la Rete», di uscire sui social media allo scoperto, come fossero una periferia esistenziale nella quale essere testimoni. E «come nella parabola del Buon Samaritano – ha proseguito don Maffeis – non possiamo percorrere queste autostrade digitali senza farci prossimo. Per questo la Chiesa è chiamata ad una conversione e il web ci provoca a farlo». Nel corso del convegno sono stati presentati i risultati di un’indagine sull’uso di Facebook da parte di sacerdoti, religiosi e seminaristi che è stata condotta dal Centro di ricerca sull’educazione ai media (Cremit) dell’Università Cattolica e dal dipartimento di scienze politiche dell’Università di Perugia, per conto di WeCa (associazione dei webmaster cattolici italiani). «Fin dalla sua fondazione nel 2003, WeCa – ha spiegato il presidente dell’associazione, Giovanni Silvestri – si è proposta l’obiettivo di formare gli operatori pastorali della comunicazione, ma per farlo abbiamo sentito l’esigenza di contenuti scientifici che venissero dall’esterno». Nacque così la prima ricerca “Parrocchia e Internet” nel 2007-2008 e ora questa seconda analisi che, ha proseguito Silvestri, «non può essere solo un esercizio accademico, ma un modo per affrontare le preoccupazioni che riguardano le nostre comunità». Veniamo ai dati. Secondo la ricerca, coordinata dal professor Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit, hanno un profilo Facebook il 17,9% dei sacerdoti diocesani, il 20,4% dei religiosi, il 59,7% dei seminaristi, il 9,3% delle religiose. I seminaristi risultano essere anche i più attivi: il 20,3% pubblica in bacheca un post al giorno o al massimo ogni due giorni contro il 7,6% delle religiose, il 14,3% dei diocesani e il 18,3% dei religiosi. Quattro sono gli “stili” di presenza ritrovati in Rete: dagli attivisti ai confessori, dagli opinionisti agli esegeti. Se le reti virtuali di un sacerdote riproducono le reti reali – la parrocchia, gli amici – diverso è il caso delle religiose, che seppur in numero minore su Facebook sono quelle che fanno un utilizzo più aperto della Rete. «La spiccata “socialità” delle religiose dipende forse proprio dalla loro ministerialità – hanno spiegato le ricercatrici Rita Marchetti e Simona Ferrari –, tra i loro contatti infatti ci sono non solo consorelle e fedeli, ma anche internauti», ossia persone conosciute direttamente, abitando la Rete e portando l’Annuncio. «La donna ha nel Dna capacità empatica, di farsi carico, di esplorare orizzonti nuovi» ha sottolineato a tal proposito don Domenico Dal Molin, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale delle vocazioni. Se da un lato don Dal Molin non ha mancato di mettere in guardia i seminaristi, considerati i più attivi sui social network, dai rischi di esibizione narcisistica, legati intrinsecamente al mezzo, dall’altro lato ha affermato che anche «nell’esperienza di prossimità» che i social network ci offrono si possa ritrovare «l’elogio della bellezza della relazione». Per far questo, però, secondo il professor Andrea Tomasi dell’Università di Pisa, invitato a moderare parte del convegno, «bisogna mostrare la nostra umanità e coltivare maggiormente quell’uscire verso gli altri». Nel mondo virtuale ma anche nel mondo reale, perché «l’importanza del corpo nelle nostre relazioni è insostituibile» come ha ricordato don Jonah Lynch, rettore del Seminario della Fraternità San Carlo.