Chiesa

Chiesa. Ecco che cosa è un'enciclica e perché i Papi le scrivono

Mimmo Muolo sabato 3 ottobre 2020

La firma di Francesco in calce all'enciclica "Laudato si'" del 2015

Che cos'è un'enciclica? E quando questo genere di documento papale, oggi considerato la più alta espressione del magistero ordinario dei pontefici, è stato inventato? Il nome deriva dal greco e precisamente dall'espressione “enkluklioi epistolai” che di solito indicava le lettere circolari indirizzate ad alcune Chiese delle regioni del Ponto, della Galazia, della Bitinia, della Cappadocia e in genere dell'Asia.

Epressiva in proposito è la titolazione “A tutte le comunità della Chiesa cattolica” che si trova in calce al Martirio di Policarpo, il quale risale al 150 circa. Fu proprio per la loro destinazione universale che questi scritti, a partire dal II e III secolo, vennero chiamati “lettere cattoliche”, mentre già nel IV secolo si trova facilmente il termine “enciclica” nelle lettere che i vescovi Atanasio e Alessandro da Alessandria indirizzavano a tutte le Chiese sui temi allora dibattutti circa la divinità e l'umanità di Cristo.

Come ricorda l'arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, nel libro “Dentro di me il tuo nome – la teologia di Giovanni Paolo II” (San Paolo), «secondo un'espressione di Evagrio Pontico, le “cosiddette encicliche” erano una raccolta di 40 lettere che avevano per oggetto la giustificazione del Concilio di Calcedonia (451), scritte dall'imperatore, da papa Leone Magno e da numerosi vescovi». Resta famosa la lettera enciclica greco-latina scritta da papa Martino I nel 649 che insieme ad altre lettere permane per i primi 8 secoli come la forma più comune di comunicazione, pur senza riportare ogni volta in maniera esplicita il termine.

In tempi più vicini al nostro la parola “enciclica” fu ripresa nel 1740 da Benedetto XIV che designò con questa definizione sette delle sue Bolle papali. E in maniera più usuale venne adoperata da Gregorio XVI nel 1831, che in seguito apporrà il termine a 16 suoi documenti.

In sostanza il genere “enciclica” diventa ordinario nel magistero pontificio nel corso del XIX secolo, giungendo fino a noi.

Pio IX ne scrive 33, 48 Leone XIII, 10 Pio X, 12 Benedetto XV, 30 Pio XI, 41 Pio XII, 8 Giovanni XXIII, 7 Paolo VI, 14 Giovanni Paolo II, 3 Benedetto XVI e 3 anche papa Francesco, compresa quella che sarà pubblicata domani. Con la particolarità inedita nella storia della Chiesa, che la prima pubblicata nel suo pontificato (Lumen fidei) è stata scritta a quattro mani con il suo predecessore.

Perché i Papi scrivono le encicliche?

Essi, spiega Fisichella, intendono trattare «questioni che toccano i contenuti della fede e della morale, e si indirizzano a tutta la Chiesa sparsa nel mondo». L'enciclica diventa così una “lettera circolare” che tutti i fedeli, in comunione con i loro pastori, possono e devono leggere e tenere a mente.

«Scopo di un'enciclica – aggiunge l'arcivescovo teologo – è di educare il popolo cristiano alla maturità della fede dinanzi alle diverse sfide che le mutate condizioni storiche provocano, così da permanere sempre nell'unità della fede confermata dal servizio apostolico reso visibile dall'insegnamento del successore di Pietro».

Un'enciclica dunque, conclude Fisichella, «si qualifica come un insegnamento costante da parte del Papa, il quale dinanzi ad alcune esigenze della Chiesa risponde con l'analisi delle problematiche e la risposta che proviene dalla Parola di Dio nella sua forma scritta e nella sua permanente tradizione viva». La “Fratelli tutti” si iscrive perciò a pieno titolo in questo solco. E aggiunge una novità: è la prima enciclica firmata fuori Roma in tempi recenti.